Panta Rei gNe11

“Parlare di Panta rei, Eraclito, all’interno di un progetto di educazione ambientale come gNe11 Giornalisti Nell’Erba con alunni di scuola primaria?
Secondo noi si può e si deve, anzi siamo stati ascoltati anche in Sala Rossa al VII Municipio grazie all’invito dell’assessore all’istruzione Elena De Santis. Piccole idee trasmesse ai grandi!””
Opera della Classe 5 C dell’I.C Via G Messina di Roma con il coordinamento di Paolo Aghemo, Carla Vergine, Chiara Lamberti e Antonietta Farro

Le sentinelle del pianeta in pericolo

Inchiesta di data journalism della redazione della II E della scuola media Orazio Flacco di Castelluccio dei Sauri (FG), coordinata da Barbara Doronzo.

Le api sono importantissimi indicatori della salute del nostro pianeta, inoltre il loro lavoro è fondamentale per l’agricoltura. La biodiversità dell’ecosistema dipende dal lavoro di oltre 20.000 specie di insetti appartenenti a questa famiglia.

Il ritmo della natura coincide con il bioritmo degli alveari. Nel periodo invernale le api si riposano, in primavera iniziano ad uscire per procurarsi il cibo, in estate raggiungono il culmine della loro attività, mentre in autunno rallentano il ritmo e si preparano ad affrontare il freddo. Questi piccoli insetti danno un contributo inestimabile al Pianeta. L’impollinazione è uno dei servizi eco-sistemici più visibili, che contribuisce alla produzione del 75% dell’alimentazione, cioè di 1/3 dei raccolti, pari ad un valore di 22 miliardi di euro annui. Una singola ape in media visita 7.000 fiori al giorno e sono necessarie 4 milioni di visite per produrre un chilogrammo di miele. A livello globale, 81 milioni di alveari producono 1,6 milioni di tonnellate di miele.

Dal 2008, le api stanno diventando una specie a serio rischio di estinzione. Il mondo scientifico ha definito questo fenomeno come Sindrome dello spopolamento degli alveari, in inglese Colony Collapse Disorder, CCD. La Cina è il luogo in cui la situazione è drammatica. Infatti, il fenomeno ha raggiunto punte altissime, pari al 95%, tanto che ormai sono gli uomini a svolgere, con pessimi risultati, il lavoro degli insetti, usando dei tamponi. Il Canada, nell’inverno del 2014, ha perso il 58,6% delle sue colonie. La situazione non è meno grave negli Stati Uniti ed in Europa.

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A minacciare la vita delle api contribuisce in generale l’inquinamento atmosferico, che porta al riscaldamento globale ed ai cambiamenti climatici, e ciò interferisce direttamente con il regolare bioritmo degli impollinatori; l’inquinamento elettromagnetico, dato dai ripetitori e dall’uso di telefoni cellulari, che disorienta le api, impedendone il ritorno all’alveare. E molte altre sono le cause della mortalità: varroa, patologie, monocolture e assenza di biodiversità. Tuttavia, i nemici più insidiosi risultano essere i pesticidi usati in agricoltura.   

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La ”European Union Reference Laboratory For Honeybee Health” ha condotto una ricerca che ha riguardato 17 Stati dell’Unione Europea e si è basata sull’analisi di 31.832 colonie situate in 3.284 alveari. Dallo studio è emerso che nelle regioni meridionali dell’Europa si registra un tasso di mortalità minore, rispetto a quelle settentrionali. In Italia il valore è del 5,3%, cioè tra i più bassi. Drammatici sono i dati che interessano i Paesi del centro-nord Europa, come il Belgio (33,6%), l’Inghilterra (28,8%), la Svezia (28,7%). 

In Italia, alcune ricerche effettuate dal Centro di Ricerca per l’Agricoltura (CRA)  hanno portato a nuove scoperte. Fra i pesticidi utilizzati, quelli più pericolosi sono i neonicotinoidi, che agiscono sul sistema nervoso delle api mandandole in tilt. Questo pesticida le stordisce procurando danni al senso olfattivo. A dosi più elevate, l’insetto muore per avvelenamento.

Fra il 2007 e il 2008, l’Italia ha registrato la perdita di ben 200mila alveari. I ricercatori del CRA hanno osservato la vita delle api ed analizzato tutto ciò con cui venivano a contatto, mettendo a confronto due regioni italiane, Lombardia e Puglia. È emerso che la Lombardia aveva una mortalità maggiore, a causa delle estese coltivazioni di mais, trattate appunto con i neonicotinoidi.

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In Italia, per monitorare il problema, il CRA ha creato un giardino fenologico grazie anche alla collaborazione degli apicoltori, che ha anche il compito di controllare il clima. Nel 2009, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, MIPAAF, ha finanziato un progetto di ricerca e monitoraggio chiamato Apenet. L’obiettivo era indagare sulle cause dell’anomala mortalità di api. I risultati ottenuti hanno dimostrato che i picchi più alti del fenomeno si registravano nel periodo della semina e si legavano all’uso dei neonicotinoidi. Con il divieto di uso di questo prodotto, la situazione è immediatamente migliorata. Nel 2011, visti i risultati positivi ottenuti, si è deciso per una proroga del divieto e si è dato vita al progetto “BeeNet: apicoltura e ambiente in rete”, per continuare il lavoro di monitoraggio.

Nel nostro Paese, il desiderio di tutela del piccolo insetto sta coinvolgendo tutti. Urbees è un progetto che coinvolge i cittadini nell’allevamento delle api, per favorire non solo la produzione di miele e altri prodotti, ma anche per offrire un servizio di biomonitoraggio, infatti chiunque può ospitare un alveare sul balcone o nel proprio giardino. Attraverso le analisi del miele e della cera, è possibile controllare la presenza di metalli pesanti, per controllare se il miele è commestibile e i livelli di inquinamento nei centri urbani. Le api come abbiamo già detto sono bioindicatori e ci avvisano di come cambia l’ambiente. Se ci sono le api la biodiversità è integra. La natura nelle città oltre che estetica deve essere anche funzionale.

L’Italia è stato il primo Paese che ha dato una risposta concreta al problema, infatti ha immediatamente vietato l’uso di questo tipo di pesticida. Mentre, l’UE ha deciso di applicare severe restrizioni soltanto nel 2013. In questi giorni, in Francia è stato approvato un emendamento alla legge sulla biodiversità, che dal 1 settembre 2018 vieterà l’utilizzo di tutti i pesticidi ritenuti responsabili della moria delle api. Gli altri Stati europei non ancora assumono una politica a tutela degli alveari.

Per conoscere qual è la situazione del territorio in cui viviamo, abbiamo pensato potesse essere utile intervistare un apicoltore della nostra provincia. La scelta è ricaduta su un imprenditore di Orsara di Puglia, località che si trova a pochi chilometri da Foggia e molto vicino a Castelluccio dei Sauri.

L’8 Febbraio, ci siamo recati presso l’azienda dei fratelli Anzivino, e abbiamo conosciuto Fabio che ci ha fatto da guida durante tutta la visita. Prima di accompagnarci a vedere le arnie, ci ha insegnato come comportarci in presenza di un’ape per evitare di essere punti. Occorre accovacciarsi e proteggere le orecchie con le mani. In questo modo le api terminano la loro esplorazione senza sentirsi minacciate.

Nel campo sono presenti arnie di varie dimensioni, le più piccole contengono da 10.000 a 20.000 api, invece quelle più grandi arrivano a contenerne 50.000. La particolarità che ci ha colpiti è stata la presenza di grafemi sulle casette. Ne abbiamo chiesto il motivo e l’apicoltore ci ha spiegato che le api per rientrare nelle proprie arnie si orientano in base alla posizione del sole. Questo insetto però vede in bianco e nero, in scala di grigi. L’uomo gli dà un aiuto, mettendo delle lettere sulle arnie, perché se un’ape entra in quella sbagliata viene uccisa dalle altre. Quindi le api “sanno leggere”!

Quali condizioni climatiche occorrono perché le api possano impollinare e quanti voli giornalieri fanno? ”Il numero dei voli dipende dalle stagioni, quindi in estate saranno più frequenti rispetto all’inverno. Le api per impollinare devono uscire in una bella giornata con minimo 20°”.

Come ottiene le diverse varietà di miele? “La prima pratica è quella del nomadismo, che consiste nel portare le varie arnie di notte in luoghi dove sono presenti gli alberi di eucalipto o di arancio oppure di castagno. Le api nutrendosi con il nettare di quelle piante producono miele dello stesso sapore. Per il miele millefiori o multiflora invece le api prendono nutrimento da diverse piante selvatiche presenti nella zona. Per questo è importante mantenere la biodiversità”.

Durante il periodo invernale, come sopravvivono le api? “Non potendo uscire a causa delle temperature fredde, si nutrono del miele procurato in estate. Però, l’apicoltore deve sempre vigilare, perché quando non è sufficiente deve fornirgli altro nutrimento, altrimenti morirebbero di fame. Per riscaldarsi, all’interno dell’alveare creano un “globone”, cioè si ammucchiano, stando molto vicine, per trasmettersi calore e si alternano dall’interno all’esterno”.

La tappa successiva della visita è stata il laboratorio. Fabio ci ha spiegato i vari passaggi della produzione e ci ha mostrato il funzionamento della macchina per la smielatura. La prima fase è la raccolta del miele nei vari telai. Questi vengono sistemanti nella macchina che, sfruttando la forza centrifuga, li svuota. Successivamente viene versato in recipienti dove raggiunge la maturazione. Dopo avviene l’invasettamento e l’etichettatura.

Cosa minaccia la vita delle api? “Le api hanno due nemici particolarmente aggressivi: i pesticidi, e in particolare i neonicotinoidi, e i parassiti. I neonicotinoidi alterano il sistema nervoso dell’insetto, mandandolo in tilt e avvelenandolo. I parassiti più pericolosi sono la Varroa Destructor, la Vespa Asiatica e la Aethina Tumìda. La varroa è presente dal 1980, ma non si è ancora trovato un rimedio. La Vespa Asiatica è un coleottero che le divora ed è diffuso maggiormente al nord Italia, a causa delle coltivazioni di mais. Il terzo, comparso in Calabria solo due anni fa, depone le uova nell’alveare, uccidendo le api”.

Qual è la situazione nel nostro territorio? “Fortunatamente, nella nostra zona non sono diffuse colture intensive e l’uso di pesticidi è ridotto, per cui le api non sono a rischio. Mentre, per quel che riguarda i parassiti, non possiamo dirci al sicuro perché quelli che infestano gli alveari al nord e al sud Italia potrebbero facilmente arrivare in Puglia. Occorre una buona prevenzione. Ad esempio, gli apicoltori della Calabria non possono spostare le loro arnie senza un permesso. La stessa cosa vale per quelli del nord”.

Esiste una rete nazionale di monitoraggio degli alveari chiamata Progetto BeeNet. Un alveare sentinella è presente nel nostro territorio? “In Capitanata sono presenti molti alveari sentinella: sul Gargano, a Orsara di Puglia e in altre località dei Monti Dauni. L’Azienda Anzivino è una delle tante pugliesi che si è occupata del monitoraggio della qualità dell’aria, della presenza di parassiti, della qualità del miele”.

Come sarebbe il mondo senza api? “Io non riesco ad immaginarlo. Vi faccio un esempio: sapete che le api contribuiscono all’impollinazione del 90% dei fiori nettariferi, l’altro 10% avviene grazie al vento e alle precipitazioni. Vi faccio un esempio: se un albero, in un anno, produce dieci mele, con la scomparsa delle api ne darebbe solo una. Quindi l’alimentazione a disposizione dell’uomo diminuirebbe”.

La costruzione di arnie sui balconi e nei giardini può essere un rimedio efficace contro il rischio estinzione di questo insetto? “Potrebbe essere un buon rimedio, però ho qualche perplessità. Le città sono molto inquinate inoltre periodicamente sono soggette a disinfestazioni. Ho dubbi sulla qualità del miele e le api potrebbero morire. Sarebbe utile invece piantare il rosmarino o altri fiori nettariferi”.

La visita si è conclusa nel reparto di etichettatura e commercializzazione. L’apicoltore ci ha spiegato l’importanza dell’etichetta, che fornisce delle informazioni preziose per i consumatori, cioè il luogo di provenienza, il gusto, la scadenza, il nome del produttore e il peso. Infine ci ha fatto assaggiare le diverse varietà di miele prodotto.

Trascorrere una mattina nell’azienda è stato davvero interessante. Abbiamo appreso tante informazioni utili. L’esperienza può dirsi positiva. Abbiamo scoperto nuovi aspetti della vita delle api e del loro lavoro e che nel nostro territorio la situazione non è per nulla grave, perché è sottocontrollo. Tuttavia, il problema esiste e nel mondo il rischio estinzione è reale. Occorre sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a questo fenomeno, rendere le attività produttive maggiormente ecosostenibili, con un’agricoltura biologica e una maggiore tutela della biodiversità, creare maggiore consapevolezza nei consumatori. Ricordiamo che se insisteremo con comportamenti dissennati, gli equilibri ecosistemici si romperanno a danno dell’uomo stesso. Quindi non è solo l’ape a rischio estinzione, ma anche l’umanità. Perdere le api non significa solo perdere un alimento squisito come il miele, ma molto di più.

Tutti gli inquinanti che respiriamo

Inchiesta sull’inquinamento atmosferico di Giorgia Affatato, Benedetta Bizzarro, Alyssa Mauriello, Maria Teresa Roccia, Camilla Villanova, della IIID Scuola media “Orazio Flacco” di Castelluccio dei Sauri (Fg), coordinati da Barbara Doronzo

L’inquinamento atmosferico è il principale fattore di rischio per l’ambiente e per l’uomo. Gli inquinanti più problematici per la salute umana sono il particolato, l’ozono troposferico (O3) e il biossido di azoto (NO2). Circa il 90% degli abitanti delle città è esposto a elevate e pericolose concentrazioni di questi  tre inquinanti. Le stime dell’impatto che essi hanno sulla salute, associato all’esposizione nel lungo periodo alle polveri sottili e a quelle ultrasottili, mostrano che nel 2012 in Europa hanno provocato la morte prematura di 432mila persone.

Un ulteriore motivo di crescente preoccupazione è il benzo(a)pirene, un inquinante cancerogeno le cui concentrazioni, in diverse aree urbane, specie nell’Europa centrale e orientale, sono superiori alla soglia fissata per proteggere la salute umana. Tuttavia, non si tratta di un problema solo locale o europeo, ma planetario, che ci rende tutti interdipendenti: gli agenti inquinanti emessi in un qualsiasi paese del mondo possono essere trasportati nell’atmosfera, determinando una cattiva qualità dell’aria altrove,  danneggiando la salute dell’uomo e anche l’ambiente in cui vive. L’inquinamento atmosferico provoca l’acidificazione degli ecosistemi e danneggia le colture e le vegetazioni, in generale. Inoltre, riduce la durata di vita delle persone e contribuisce alla diffusione di gravi patologie quali malattie cardiache, problemi respiratori, bronchite, asma, enfisema e la formazione di neoplasie maligne come il cancro e la leucemia. Tutti questi aspetti, non sono solo nocivi, ma determinano anche alti costi sociali.

Ogni ora in Europa si consumano 11 ettari di suolo fertile e di buona qualità

Inchiesta sul consumo di suolo della redazione della III D Scuola Secondaria “Orazio Flacco” di Castelluccio dei Sauri (FG), coordinata da Barbara Doronzo

Il “consumo di suolo” è il processo di trasformazione delle superfici naturali o agricole in aree urbane o industriali. In Italia questo fenomeno ha raggiunto livelli molto alti e preoccupanti, poiché negli ultimi decenni il territorio naturale è stato rapidamente impermeabilizzato con il cemento.

Il suolo, chiamato anche pedosfera, è lo strato più superficiale della crosta terrestre. Si forma attraverso un lentissimo processo di erosione: gli agenti atmosferici come la pioggia, il vento e la neve, attaccano le rocce che si rompono in frammenti sempre più piccoli, sino a trasformarsi in particelle minuscole. Il vento le trascina via sulla terra ferma, dove si accumulano fino a formare uno strato compatto. Il suolo svolge funzioni protettive, produttive ed ecologiche: racchiude acqua e elementi naturali e costituisce il supporto fisico per la vegetazione; ostacola il passaggio delle sostanze inquinanti nelle acque sotterranee e si lega all’ambiente circostante in un rapporto di circolarità. Una delle sue proprietà, spesso sottovalutata, è quella di essere una riserva di carbonio. La Commissione Europea stima che il 20% delle emissioni di CO2 vengono catturate dal suolo e che il carbonio in esso presente è pari a 3 volte quello in atmosfera. Si tratta quindi del più importante serbatoio dell’ecosistema, ma sempre più spesso la sua funzione vitale non viene adeguatamente considerata. Sul Pianeta le terre emerse occupano circa ¼ della superficie e, di questa, la metà non è utilizzata dall’uomo. Del restante 50%, ben il 40% non è coltivabile, perché le terre sono troppo umide, impervie e inadatte. L’esigua parte che rimane è costantemente minacciata da un’agricoltura intensiva, sempre più inquinante, e un vorace processo di urbanizzazione.
Il suolo è una risorsa non rinnovabile, fragile e nascosta.

Indagine sulla raccolta differenziata nelle case degli compagni di scuola

di Niccolò Cesaretti, Tommaso Ferraro e Giada Toscano della II F,  Istituto comprensivo Frascati 1, Scuola Madia Statale Tino Buazzelli (Roma)

Dal 25 febbraio al 4 marzo abbiamo organizzato una serie di interviste ai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Frascati 1, per un indagine conoscitiva sulle abitudine delle famiglie di Frascati riguardo la raccolta differenziata.

Si è constatato che la maggior parte dei ragazzi fa la raccolta differenziata. In media il 93% la fa da circa due anni. I ragazzi intervistati sono stati circa 60. La maggior parte di essi pensa che la raccolta differenziata sia utile per salvaguardare l’ambiente. Altri invece pensano sia inutile.

La risposta più originale tra le tante è stata quella di Mattia: “Per me la raccolta differenziata è come un supereroe”, mentre la risposta più superficiale è stata quella di Valentina che ci dice: “la raccolta differenziata serve a non mischiare le cose buttate”. Al primo posto nella classifica delle risposte più intelligenti c’è stata quella di Francesco che ha detto: “La raccolta differenziata è utile per salvaguardare l’ecosistema”. C’è stata anche la risposta più noiosa, quella di Andrea, che ha spiegato che la raccolta differenziata serve ad aiutare il pianeta.

Per svolgere quest’indagine abbiamo utilizzato tre semplici domande: “A casa tua fai la raccolta differenziata?” “Secondo te serve farla?” “Perchè?”m per non influenzare le risposte con le domande. Tuttavia non è stato semplice svolgere quest’indagine, perché alcuni ragazzi si rifiutavano di rispondere e altri la prendevano come un gioco.

L’indagine è stata svolta all’entrata e all’uscita di scuola, per le strade di Frascati, al parco dell’Ombrellino e in Villa Torlonia. Sono stati sentiti per lo più ragazze, che rispondevano più seriamente rispetto ai ragazzi, che – escluso qualcuno -, davano risposte affrettate e senza senso.

cod. conc. 1458838006609

 

Mola di Bari, un transistor monitora le “pattumelle” di ogni famiglia

Intervista all’assessore all’ambiente del comune di Mola di Bari, Michele Palazzo, e articolo sulla discarica Martucci, realizzati dalla redazione della I A indirizzo sociosanitario dell’ISS Morea de Lilla di Conversano (Bari), coordinata da Loredana Brunetti

Gli alunni della 1^A O. S.S. chiedono: “CHIUDIAMO LA DISCARICA MARTUCCI”

Il problema della discarica è partito circa 40 anni fa. Le informazioni di questo problema sono arrivate da persone che frequentavano la zona, a cominciare dagli agricoltori, ma soprattutto da un traffico accentuato di tir che passavano di lì, ma anche da delle confessioni di operatori che lavoravano all’interno della discarica.
Il 15 Gennaio 2015 c’è stata un’udienza preliminare dove si sarà deciso se questo deve essere riconosciuto come “disastro ambientale”.
Da esiti di uno studio epidemiologico condotto da alcuni medici di base nei territori di Mola Di Bari, Monopoli, Rutigliano, Turi, Castellana Grotte e Noci, provincia di Bari si nota un’incidenza discretamente più alta di individui con tumori all’apparato respiratorio nei comuni di Monopoli con 38,1%, Mola Di Bari con 34,2%, Rutigliano con 33,7% rispetto al dato nazionale che si attesta sul 31,2%. Anche per individui con tumori al sistema nervoso si sono notate discrepanze a Castellana Grotte con 18,5%, Turi 18,1%, Conversano con 14,4%, Noci con 13,9% e Monopoli con 12,6% rispetto al dato regionale che si attesta al 10%.