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di Benedetta Tedeschi, del III A, redazione La Siringa, liceo scientifico G. Alessi di Perugia

«Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale contraria», diceva Newton con il terzo principio della dinamica: questo è nell’ordine naturale delle cose.

L’azione umana più naturale a cui possiamo pensare è quella del respirare; respirando produciamo CO2: questo è nell’ordine naturale delle cose.

Tante altre azioni che compiamo, a dir poco più superflue e “artificiali” del respirare, comportano immissioni analoghe, anzi, ben più consistenti, destinate a stravolgere per sempre il mondo per come lo conosciamo: questo non è nell’ordine naturale delle cose.

 Emergenza ambientale globale: come risponde il mondo?

Parigi COP21 è stata un’esperienza internazionale ineludibile, foriera di assolute novità e di proposte trasversali che hanno portato ambiziosamente alla ribalta, tra gli altri, il tema dei cambiamenti climatici e del loro impatto sulla popolazione mondiale.

La conferenza è approdata ad un accordo globale sulla limitazione delle cause antropiche dei cambiamenti climatici e il testo ha registrato il consenso dei rappresentanti delle 196 parti partecipanti.

Quale l’obiettivo comune?

Limitare il riscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius (° C) rispetto ai livelli pre-industriali.

Il tema dei cambiamenti climatici è assai dibattuto a tutti i livelli della conoscenza: dalle scuola elementari dove mastre e maestri cercano di istruire all’ecologia, fino all’Università dove si studiano le cause e le concause, nonché gli effetti, di questi stravolgimenti ambientali, così determinanti per la vita dell’uomo.

Connessione uomo-cambiamento climatico: come affrontare l’argomento?

Intervisteremo il Professor Giovanni Maria Perfetto De Santis, Ordinario presso l’Università degli Studi di Perugia per l’insegnamento di Geografia Umana e discipline affini.

L’attività scientifica del Professor De Santis si è sviluppata attraverso l’analisi di molteplici questioni legate alla geografia, di cui ha evidenziato in particolare le relazioni che si instaurano nel rapporto uomo-ambiente.

univ perugia

Professor De Santis, prima di tutto, come spiegherebbe il concetto di “geografia umana” e come inserirebbe nella disciplina i cambiamenti climatici?

 La geografia umana si occupa della distribuzione dell’uomo nello spazio e tratta le relazioni tra quest’ultimo e l’ambiente: l’essere umano è un qualcosa che va definito, prima di tutto, scientificamente, per essere messo a sistema con gli altri fattori che concorrono con la vita sulla terra, altresì l’ambiente, va qualificato e, nella fattispecie lo chiameremo “motore dell’evoluzione”. Trattando del rapporto tra uomo e ambiente ci sono un’infinità di implicazioni: una di queste riguarda, appunto, la tutela del territorio e tutto ciò che ad esso è affine (clima, guerre, fattori accidentali di varia natura più o meno interdipendenti dall’attività umana).

Un esempio particolare di variazione climatica è l’effetto serra, come lo definirebbe, scientificamente? È un qualcosa che influisce negativamente sull’attività umana o no?

Beh, l’effetto serra, in realtà, è un fenomeno estremamente naturale, senza questo non ci sarebbe neanche la vita sulla terra perché, infatti, quello dei così detti “gas serra” è uno strato molto sottile che copre tutta l’atmosfera terrestre e che permette ai raggi del sole di entrare, senza che avvenga, però, un’eccessiva dispersione di calore.

Il problema, oggi, è che l’emissione di tutta una serie di gas nobili e di anidride carbonica, ha portato all’inspessimento di questo strato, comportando un aumento costante delle temperature: i raggi del sole entrano nell’atmosfera, ma il calore, oltre ad essere trattenuto come di consueto, è proprio intrappolato: questo potrebbe determinare, tra le altre cose, lo scioglimento dei ghiacciai (cosa già avvenuta, tuttavia, più volte nella storia della terra).

Il problema, oggi, è la rapidità con cui tutto ciò accade e il rischio, perciò, è di non riuscire a far fronte in tempi brevi alle conseguenze.

La causa di tutto questo è da ricercarsi nell’intensità delle attività umane post-industriali che, un po’ per iniziale ignoranza, un po’ per speculazione, sono forsennatamente giunte a questo punto.

A queste si sono aggiunte alcune attività naturali: basti pensare alle eruzioni del Vesuvio, le cui ceneri sono arrivate fino a Costantinopoli, o l’esplosione del Krakatoa che ha determinato, per due o tre anni, l’ abbassamento della temperatura terrestre perché il sole non riusciva a penetrare la coltre di nubi che si era creata.

Un’esemplificazione storica dei cambi climatici?

Dall’inizio della sua storia la terra ha assistito ad una serie di glaciazioni (5 periodi glaciali e periodi interglaciali): tutti i nostri territori sono stati modellati dall’espansione dei ghiacci: basti pensare alla valle dell’Adige, che con l’erosione ha spianato il territorio che poi i corsi d’acqua, portando materiali e detriti, lo hanno riempito e reso omogeneo e permettendo il transito, per esempio, delle vie di comunicazione, nonché all’utilizzo agricolo dei suddetti territori.

Questi periodi glaciali e interglaciali si sono rincorsi l’uno con l’altro, si pensi alla Groenlandia, “la terra verde”, che è composta da tre grandi isole tenute oggi insieme dal ghiaccio, e che però in epoca medioevale, addirittura, ospitava una diocesi attiva.

In epoca romana la Libia, la Nubia e l’Egitto erano i granai d’Italia: questo vuol dire che il clima era più freddo e che quel territorio si poteva utilizzare.

Oggi andiamo verso un riscaldamento definito da tutti i mass media “pericoloso”, provocatoriamente potrei invece affermare che il riscaldamento potrebbe avere anche dei risvolti positivi, basti pensare all’area siberiana: se aumenta la temperatura di qualche grado e le acque crescono ecco che avremmo condizioni favorevoli agli insediamenti agrari.

Provoco ancora e dico che questa del “riscaldamento mortifero” è la solita visione occidentalista, siccome tutte le civiltà più importanti si trovano lungo le coste, bisogna fare in maniera tale che tutto resti com’è.

Ogni fenomeno va interpretato ed analizzato nel suo complesso, non possiamo fermarci alle “convenienze” di una sola parte del mondo: l’oggettività è la base della scienza, la base del mio lavoro.

In tutto ciò, provocazioni a parte, l’importante è non dimenticare mai che, ad ogni modo, l’uomo ha imparato ad adeguarsi e che sarà sempre così.

Quali effetti ha avuto l’azione dell’uomo sul clima?

L’influenza dell’uomo sul clima ha avuto inizio con lo sviluppo dell’agricoltura e la conseguente deforestazione dei boschi per convertirli in terre coltivabili e pascolabili, fino ad arrivare ad oggi a grandi emissioni di gas serra , soprattutto anidride carbonica, da parte dell’industrie e dei mezzi di trasporto a metano negli allevamenti intensivi e nelle risaie.

Queste attività umane, incrementando la presenza di gas serra come il biossido di carbonio , l’azoto e il metano, alterano la composizione chimica dell’atmosfera.

Infatti questi gas serra presenti nell’atmosfera hanno il compito di catturare l’energia solare trattenendo così parte del calore in modo che la temperatura sulla terra , che atrimenti sarebbe notevolmente inferiore(meno venti gradi), sia invece più favorevole per la vita (più quindici gradi).

Tuttavia quando la concentrazione di questi gas serra nell’atmosfera subisce un incremento, come è successo in questi ultimi decenni con il biossido di carbonio aumentato del 30%, l’ossido d’azoto del 15% e il metano raddoppiato, anche l’effetto serra si eleva comportando un innalzamento della temperatura terrestre con conseguenze sul clima e l’ambiente.

Gli scienziati ravvedono in questo mutamento per l’appunto una causa antropica come l’emissione di biossido di carbonio attraverso i gas di scarico degli autoveicoli, delle fabbriche e del riscaldamento domestico accompagnate dalla deforestazione e dalla desertificazione.

Tanto è vero che nel ventesimo secolo si sono registrati i quindici anni più caldi della storia della terra con un incremento costante della temperatura da 0,2 a 0,5 gradi centigradi.

Quali sono le conseguenze catastrofiche dell’aumento di temperatura?

 Le conseguenze sono ormai ben note. In primis il disgelo dei grandi ghiacciai del mare Artico la cui perdita determina una maggiore emissione di metano con gravi ripercussioni sul clima.

Per questo motivo Greenpace ha promosso una campagna per impedire le trivellazioni dei ghiacciai dell’Artico effettuate dai Russi e americani alla ricerca di risorse petrolifere. A questo si aggiunge anche l’innalzamento del livello del mare di circa 3,2 millimetri l’anno, confermato dalle misurazioni satellitari.

A questo proposito si rileva che tra le zone più critiche a livello mondiale figura anche il delta del Po con gravi rischi quindi per la Pianura Padana e la costa romagnolo- veneta. Ma ancora si possono qui ricordare anche le precipitazioni violente e catastrofiche che si registrano in questi ultimi decenni, l’intensificarsi di uragani che distruggono in modo particolare le coste degli Stati Uniti , le tempeste tropicali di inaudita violenza, insoliti casi di siccità che hanno interessato americani e britannici.

Ma il surriscaldamento del pianeta ha anche prodotto un aumento nei livelli di crescita di coralli, conchiglie, plancton marino e sedimenti lacustri, mentre colpisce in maniera negativa la coltivazione di prodotti della terra essenziali ed utili per l’uomo come il grano la cui produzione potrebbe diminuire egli anni a venire, fino al 27% se non si prenderanno provvedimenti.

Ma non solo, anche il famoso fenomeno del “buco dell’ozono” ci ha insegnato che l’uomo con la sua azione può arrecare danni ineluttabili cambiano in modo irreversibile lo stato naturale del clima.

Infatti, l’uso indiscriminato dei cloro-fluoro carburi, meglio conosciuti come Freon, utilizzati come refrigeranti, solventi, propellenti degli areosol, negli estintori, agenti sgrassanti ed espandenti negli imballaggi di polistirolo e nei materiali isolanti, ha determinato il famoso “buco dell’ozono”.

Anche se attualmente la produzione di questi agenti chimici è proibita in quasi tutto il mondo, tuttavia vi sono ancora in circolazione macchinari che li impiegano. Il rilascio di questi agenti inquinanti nell’atmosfera , responsabile della diminuzione della concentrazione dell’ozono si va ad aggiungere alla riduzione ciclica dell’ozonosfera che si verifica ciclicamente per cause naturali, principalmente in primavera, nelle zone polari.

Recentemente si è individuata una piccola zona di assottigliamento anche sopra al mare artico al polo Nord che potrebbe far pensare alla formazione di un altro “buco” nella porta opposta.

Questo fenomeno porta una riduzione dell’effetto schermante dell’ozono e quindi una maggiore esposizione ai raggi ultravioletti che giungono sulla superficie della Terra per l’uomo con conseguente aumento del rischio di cancro alla pelle, alterazioni del sistema immunitario, danni agli occhi e, per il mondo vegetale, un inibizione parziale della fotosintesi delle piante, con un rallentamento della loro crescita e, nel caso si tratti di piante coltivate, una diminuzione dei raccolti.

Come esemplificherebbe il concetto di “flusso migratorio” legato ad uno stravolgimento climatico?

Un esempio di stravolgimento climatico è “la desertificazione”: con la desertificazione, in prima istanza, diminuiscono le produzioni agricole e molti paesi che basano su questa la loro economia, possono subire danni gravissimi, addirittura arrivare a soffrire la fame (è il caso delle economie agricole di sussistenza).

In questo caso si avverte la necessità di avere i finanziamenti e le derrate alimentari dall’esterno, condizione, tuttavia, non sempre risolutiva.

L’uomo quindi cosa fa? Tralasciando le guerre e quindi le carestie, questo tipo di situazione spinge i popoli a spostarsi alla ricerca di nuovi territori: ecco l’emigrazione.

Le migrazioni hanno sempre origine economica, che si parta perché il clima distrugge tutto (alluvioni etc) o perché non permette un adeguato soddisfacimento delle condizioni di vita, comunque la partenza risulta da sempre un’ottima soluzione.

L’immigrazione italiana, la prima, quella ottocentesca, è partita dal nord est, sembra strano tirare in ballo “il ricco nord est”, ma, alla fine dell’ottocento, la recessione economica, l’aumento delle tassazioni, l’indebitamento delle popolazioni, l’infruttuosità agricola, il clima sfavorevole determinarono un flusso migratorio incredibile.

L’emigrazione non è partita dal sud, come invece si crede, perché lì c’era il latifondo, le condizioni climatiche giuste e chi aveva i soldi, perciò, continuava ad averceli e continuava a fornire lavoro anche agli strati della popolazione più bassi.

Il clima determina anche il diffondersi di malattie infettivo-parassitarie, causa ulteriore di emigrazione: temendo il contagio moltissime popolazioni si sono spostate dalle zone paludose (non ultima quella del Lago Trasimeno pre-bonifica) per approdare a climi e ambienti più salubri, non sempre con successo (basti pensare al diffondersi delle malattie nelle zone suburbane operaie delle città dei primi del ‘900).

I negoziati mondiali del passato, secondo lei, hanno avuto qualche effetto sulla gestione delle emergenze climatiche? Quelli odierni, come Parigi Cop21, ne avranno?

 La risposta anche stavolta sarà provocatoria: quelli passati ne hanno avuti pochissimi, se non ci fossero stati sarebbe stato forse meglio. Io sono uno studioso che è per il dialogo, ma per il dialogo costruttivo, purtroppo le riflessioni mondiali degli ultimi vent’anni non hanno portato a niente di concreto: sento ogni volta tantissimi propositi su interventi e gestione delle emergenze, ma alla fine, che sia il clima il problema o la bonifica di una zona di guerra, spesso tutto si esaurisce nell’inefficacia dovuta ad assurde gare d’appalto o dal reindirizzamento di fondi sull’emergenza “più di moda”, quella che “fa più notizia”: l’Angola, ad esempio, ancora sta aspettando di essere sminata, dopo l’avvento del “dramma afghano”.

Parigi Cop21 ripropone tematiche già sentite a Kyoto nel 1997, evidentemente il problema è ancora preponderante…

In che modo l’Università e gli studi specifici del suo settore potranno aiutarci in una prospettiva positiva di risoluzione dei problemi connessi al clima?

Finché il mondo girerà seguendo gli scellerati profitti economici, l’Università sarà impotente: gli studi, le ricerche, gli insegnamenti che con fatica portiamo avanti in questi tempi bui per gli investimenti nell’ambito della cultura e del sapere, rimarranno tomi polverosi su scaffali di biblioteche e centri di ricerca specializzati.

Il problema è culturale, l’uomo deve capire che lasciare in eredità un pianeta devastato non è civile, né sano: è ai nostri figli che dovremmo pensare… ai giovani… a te.

cod. conc. 1454952861392

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