Storie mute

Opera di Aureliana La Pusata, 20 anni, di Barrafranca (Enna)

“Tutte le sere, alle sette e trentasette  del martedì e del venerdì una ragazza con il cappotto a fiori prende il bus 14 in direzione Stadio.

Tutti i giorni, alle otto e quarantatrè, o alle otto e cinquanta, una bici sfreccia verso la zona ovest della città.
Tutti i giorni, alle sei e quarantacinque, un ragazzo sulla trentina apre la saracinesca del bar all’angolo, poi s’accende nervosamente una sigaretta e aspetta il primo cliente del mattino: è un professore sulla cinquantina con gli occhi grigio-ghiaccio, ordina un macchiato e lo beve amaro e bollente, ma prende sempre una bustina di zucchero.
In ogni istante, a questo incrocio, si intrecciano segreti, si allacciano in un groviglio inestricabile migliaia di storie, migliaia di vite. Senza toccarsi, sfiorandosi appena o rimanendo legate per sempre.

(nell’impaginato, tutto il testo)

 


 

Il blackout

Racconto di Marianna Antonuzzi, 18 anni, di Monterotondo

C’era una volta un sommo saggio che molto tempo fa predicava nelle piazze, si chiamava Eraclito e sosteneva che “tutto scorre”: Panta Rei.

Renato, un giovane principe azzurro della Repubblica Italiana del XXI secolo, ingenuamente si interrogava sul come potesse un filosofo dell’antica Grecia dare a lui, giovane uomo del terzo millennio, consigli di vita.

Proprio per via di queste incomprensioni di carattere logico Renato per quel giorno scelse di chiudere il tomo di filosofia e di uscire a farsi una passeggiata.

C’era un bel calduccio a quell’ora soleggiata del pomeriggio, ma Renato non parve farci caso: sbuffò sfilandosi il giacchetto in ecopelle e si calcò gli occhiali sulla testa, grugnì infastidito dal sole che non gli permetteva di leggere il display del telefono: inarcò la schiena per gettare ombra sul cellulare e gli occhiali da sole gli scivolarono sul naso, ma finalmente era riuscito a sbloccare lo schermo e ad alzare la luminosità.

JACOPO TAMBELLINI, VIAGGIATORE

JACOPO TAMBELLINI, VIAGGIATORE
STORIACCIA IN QUATTRO ATTI
di Francesco Toscani

ATTO PRIMO
SAN PAOLO DELLE CASCATE

I banditi erano arrivati quattro giorni prima. Gli uomini stavano rientrando a casa, chi portando i frutti, chi la cacciagione. Dagli usci esalavano spesse fette di fumo, simili a cascate rivolte verso l’alto. Il paese aveva iniziato a riempirsi di vocii, risate e battute, poi qualcuno aveva urlato mentre un uomo caracollava per la strada con una freccia piantata nel collo, altre tre frecce avevano colpito un tettuccio di paglia, una si era piantata nell’occhio largo, stupito di una contadina, e loro erano apparsi. Armati, grossi e sporchi. Il fraticello aveva lanciato loro un’occhiata e subito aveva visto le armature e le spade in ferro – armi da guerrieri, non da pezzenti; quelli venivano da una qualche guerra, erano ex soldati, magari disertori, non banditi di professione. Il suo amico, frate Mattia, era corso loro incontro, gridando in latino, e uno di loro si era fatto avanti e aveva calato lo spadone sulle sue tempie. Poi doveva essere iniziato il massacro; ma il fraticello non l’aveva visto. Accanto a lui c’erano due bambini; li aveva afferrati per i polsi (ricordava ancora la sensazione delle loro braccine ossute che premevano contro il suo pollice) e aveva iniziato a correre, guardando davanti a sé, il cuore che gli martellava il petto, cercando di non badare alle urla. Si era tuffato dietro la casetta di mastro Federico e, così facendo, si era gettato un’occhiata alle spalle.

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