Green is the new black

di Maddalena Binda, 25 anni, di Carate Brianza (MB)

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“Vola con Ryanair perché abbiamo le emissioni di CO2 più basse tra le maggiori compagnie aeree d’Europa. Ryanair: emissioni più basse, tariffe più basse.” In Gran Bretagna, questo spot pubblicitario è stato cancellato nel 2019, dopo che l’ASA (Advertising Standard Authority) lo ha ritenuto ingannevole: le informazioni fornite dalla pubblicità in questione erano parziali e non aggiornate. Lo spot, in particolare, rivendicava un primato, quella di compagnia con le minori emissioni di CO2, basandosi su dati del 2011. Ryanair, inoltre, non specificava quali fossero le altre compagnie coinvolte. Sul loro sito, si enfatizza l’impegno ambientale di Ryanair che permette ai propri clienti di effettuare donazioni ad enti che si occupano della salvaguardia dell’ambiente: 2.5 milioni di euro raccolti. Il traguardo raggiunto è ben in evidenza. Nascosto all’occhio di chi scorre velocemente la pagina del sito web, però, è un altro dato: solo poco più del 2% dei clienti ha effettuato una donazione.

L’esempio di Ryanair, responsabile dell’inquinamento atmosferico e acustico, in quanto leader del settore dei trasporti aerei è uno dei tanti casi di greenwashing in cui il consumatore si imbatte quotidianamente. Il termine greenwashing è un neologismo: creato negli anni ’80, deriva dalla parola inglese whitewashing (riverniciare) e letteralmente significa “verniciare di verde”. Indica tutte le strategie di comunicazione che un’azienda attua per appropriarsi di pratiche sostenibili, anche se ciò non corrisponde alla verità, o di presentare le informazioni in modo ingannevole, confondendo il consumatore.

Con l’ondata dei movimenti Fridays For Future, l’attenzione ambientale è cresciuta: termini come naturale, sostenibile, eco-friendly vengono abbondantemente utilizzati nella pubblicità o sulle etichette dei prodotti, alimentari e non, che si trovano al supermercato. E tutto si tinge di verde perché il verde è il nuovo nero.

Nel 1992 è nato EU Ecolabel, il sistema di certificazioni europeo: dall’estrazione o la coltivazione delle materie prime fino ad arrivare alla fase di smaltimento o riciclo, passando per quella di lavorazione e di imballaggio, tutti i processi devono soddisfare alcuni criteri stabiliti. Il funzionamento dell’EU Ecolabel è controllato dal Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio. Questo sistema di certificazioni, essendo garantito dall’UE è affidabile. Può servire al consumatore come garanzia di sostenibilità e come strumento di paragone per confrontare altri marchi che si definiscono “eco-friendly”.

Un ulteriore esempio di greenwashing riguarda la linea “Conscious” di H&M, noto marchio fast fashion: i capi di abbigliamento, rigorosamente dotati di un’etichetta verde, sono orgogliosamente promossi ed esposti nei vari negozi. Cercando maggiori informazioni sul sito dell’azienda, però, si legge che i prodotti della linea Conscious per essere certificati come tali devono avere il 50% di materiali sostenibili. E il restante 50%? La domanda nasce spontanea.

Il consumatore deve, perciò, restare sempre all’erta e diffidare di slogan e iniziative sensazionalistiche: non tutto quello che luccica è oro.

Anche il recente annuncio della creazione di un fondo per l’ambiente da parte di Jeff Bezos, CEO di Amazon, sebbene non sia definibile come caso di greenwashing, sfrutta la crescente sensibilità ambientale della popolazione per poter promuovere l’immagine dell’azienda. Il Bezos Earth Fund comporterà un finanziamento iniziale di 10 miliardi di dollari da devolvere a centri di ricerca e organizzazioni che si occupano della salvaguardia ambientale e dello sviluppo sostenibile. L’annuncio della generosa donazione segue le proteste di qualche centinaio di dipendenti che, negli USA, hanno iniziato a chiedere un cambiamento nelle politiche del colosso americano: ridurre le emissioni di gas serra prodotte dall’azienda entro il 2030, interrompere i finanziamenti alle società di combustibili fossili e ai membri negazionisti del Congresso americano. Il fondo, inoltre, sembra una risposta alle polemiche nate sul web per la sua donazione a seguito degli incendi in Australia: solo 690 mila dollari a fronte del suo patrimonio di quasi 130 miliardi di dollari.

Con gli strumenti che il consumatore ha a disposizione oggi, internet in primis, è fondamentale verificare la veridicità di iniziative o cambiamenti sostenibili che le maggiori aziende pubblicizzano per non cadere nell’inganno, acquistando prodotti sostenibili solo nella facciata. Alla fine, come dice il proverbio, l’abito non fa il monaco.

 

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