Gaia Hotel: “Si pregano i gentili ospiti di rispettare gli spazi comuni”

di Floriana Lecci, 21 anni, di Foggia

Campagna molisanaChi di noi non si è sentito dire almeno una volta: “Questa casa non è un albergo!”; preludio di un interminabile rimprovero per ristabilire l’ordine sull’immenso caos che possono nascondere le mura di casa. Per quanto apparentemente minacciose, queste parole hanno un significato profondo: chiamano in gioco collaborazione e impegno da parte di tutti, nelle proprie possibilità ovviamente, affinché si possa convivere serenamente nel rispetto dell’altro. Significano: non essendoci una cameriera che passerà a rifare le stanze, un receptionist pronto a esaudire ogni vostro desiderio o un barista in divisa che vi preparerà la colazione al mattino, dobbiamo tutti rimboccarci le maniche e fare in modo che i più grandi diano il buon esempio ai più piccoli.
In famiglia, e quindi in casa, c’è il primo esempio di società; è il primo posto dove s’imparano il rispetto e le fondamentali regole di convivenza civile per una società e un mondo migliore.
“La città è una grande casa e, a sua volta, la casa è una grande città” (Leon Battista Alberti).
E già, proprio il Mondo, la nostra Terra… anch’essa una casa che tutti hanno il dovere di preservare e curare.
Negli ultimi tempi però l’uomo usa, nei confronti del Pianeta, comportamenti più che deleteri: dalla rivoluzione industriale a oggi i tassi d’inquinamento, progressivamente distruttivi dell’ecosistema, stanno consegnando alle future generazioni una catastrofica mutazione climatica.
È proprio il clima, infatti, il fattore più compromesso dall’inquinamento ed è quello dalla cui violenta aggressione dipendono molti dei fragili e complessi equilibri che rendono il pianeta azzurro ospitale per gli esseri viventi.
I dati parlano chiaro: secondo un’indagine condotta dall’Ipcc nel 2007 “…le attività umane dal 1750 sono responsabili, con elevata probabilità, del riscaldamento del clima”. Da esso, infatti, dipendono i sempre più frequenti disastri ambientali (alluvioni, trombe d’aria), lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari che non solo provoca l’innalzamento del livello del mare, (dalla fine dell’Ottocento a oggi aumentato di 20cm.), ma riduce anche la disponibilità d’acqua in agricoltura.
Paradossalmente però anche l’agricoltura e l’allevamento contribuiscono a indebolire gli ecosistemi: il climatologo Luca Mercalli sostiene, infatti, che questa è stata per secoli dipendente dal clima ma che da ormai circa mille anni la produzione alimentare è diventata, a causa della quantità di energia fossile impiegata e della deforestazione tropicale, un potente fattore di cambiamento.
L’allevamento, spesso intensivo, dal canto suo è invece la prima causa del riscaldamento globale in quanto vi contribuisce con un notevole 40% in più rispetto all’intero sistema mondiale dei trasporti.
Questi gravi danni all’atmosfera innescano una serie di reazioni a catena che inevitabilmente si ripercuotono sull’essere umano; si stima, infatti, che se la percentuale di CO2 non sarà ridimensionata, tra il 2030 e il 2050 ci saranno 250.000 vittime da inquinamento in più l’anno da contare soprattutto tra bambini, anziani e le popolazioni dei Paesi più poveri; sono questi ultimi poi a subire i maggiori danni in quanto più soggetti a siccità ed eventi meteorologici estremi che minacciano conseguenzialmente gli sforzi per raggiungere uno sviluppo sostenibile ed eliminare la povertà.
Se poi aggiungiamo che questi sono spesso vittime della guerra che contribuisce in maniera sostanziale a peggiorare la situazione, il quadro assume tinte drammatiche per il futuro dell’umanità. I bombardamenti, infatti, rilasciano nell’atmosfera una quantità di CO2 tale che, sommandosi con quella già presente, porta ai livelli d’inquinamento insopportabili per la vita della Terra.
Come se non bastasse, i composti chimici presenti negli ordigni inquinano anche il suolo e le falde acquifere che, con un effetto domino, contaminano l’allevamento e l’agricoltura con gravi danni sulla salute di popoli già abbondantemente provati.
Quali le conseguenze sull’economia mondiale? I costi sulla salute, dovuti al cambiamento climatico, incideranno in maniera incontrollata poiché non ci saranno da affrontare solo le malattie direttamente collegate ma si dovrà far fronte a tutti i problemi che riguarderanno il “sistema salute”. È importante rilevare però che la metà più povera del mondo emette solo il 10% di CO2 mentre il 10% più ricco ne produce circa la metà (dati Oxfam). Inoltre questo 10% prodotto dai Paesi in via di sviluppo non è calcolabile perché emesso per produrre beni di consumo destinati a Paesi ricchi.
Contrariamente a quanto potrebbe sembrare clima e disuguaglianza economica sono strettamente connessi; come ha detto James Hansen, in sede del World Economic Forum del gennaio 2013, le due sfide del secolo sono proprio il superamento della povertà e la gestione dei cambiamenti climatici, “…se falliamo in una, non avremo successo nelle altre. I cambiamenti climatici non gestiti di-struggeranno il rapporto tra l’uomo e il pianeta.”
È per far fronte a questa delicata situazione e per combattere lo status quo, che va a beneficio esclusivo di un ristretto gruppo di “super ricchi”, che annualmente i potenti del mondo si riuniscono nella “conferenza delle parti del UNFCCC”.
Tenutasi quest’anno a Parigi e presieduta dal ministro degli esteri francese Laurent Fabius, la conferenza ha avuto come obiettivo per la prima vota, in più di un ventennio, la volontà di stipulare un accordo vincolante sul clima. Il 12 dicembre 2015, centonovantasei Paesi hanno approvato l’Accordo di Parigi che, per entrare in vigore, dovrà essere però ratificato da almeno cinquantacinque governi entro aprile 2016.
Il punto cardine della discussione è stato la concorde volontà di creare soluzioni tali da poter man-tenere il riscaldamento globale sotto i 2°C e puntare, entro il 2100, a 1,5°C. Quest’accordo si basa su impegni volontari e individuali di ciascun paese e prevede controlli ogni cinque anni; per il momento, nel caso in cui non si riuscissero a rispettare i limiti previsti, non ci saranno sanzioni, ma sarà applicato un sistema di “name and shame”, ovvero un programma d’incoraggiamento, per gli inadempienti.
A questa conferenza erano presenti anche le economie della Cina e dell’India – ultime arrivate nel quadro delle grandi economie mondiali – che, per quanto siano tra i Paesi più inquinanti, potranno rientrare con tempi meno stringenti nel range fissato perché non considerate responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo d’industrializzazione. Si può, quindi affermare che queste decisioni costituiscono il primo passo verso il più grande obiettivo delle “emissioni 0” da raggiungere necessariamente entro la seconda metà del secolo per scongiurare calamità ambientali.
A Parigi si è discusso anche di economia: calcolando che azioni immediate tese a stabilizzare la concentrazione dei gas serra in modo da sfavorire cambiamenti climatici costerebbe all’anno circa l’1% del PIL mondiale (al 2050) e che i costi dell’agire sono insignificanti rispetto a quelli del non agire, le misure per contrastare il global warming “…sono anche la strada per affrontare la crisi e uscirne con un’economia green e a misura d’uomo” (E. Realacci). È quindi per il principio della differenziazione – che consiste nel riconoscimento, da parte dei Paesi sviluppati, della responsabilità storica per le emissioni di gas – questi si sono impegnati a finanziare la lotta al riscaldamento con cento miliardi annui da erogare interamente entro il 2025 e da innalzare gradualmente da qui al 2020. S’impegnano inoltre a ridurre le proprie emissioni e a fornire i mezzi per farlo. I Paesi poveri, per quanto è possibile, sono invitati a perseguire gli stessi obiettivi.
Sono stati presi importanti impegni anche sul fronte dell’energia pulita attraverso due iniziative: la prima, Mission Innoviation, vede venti Paesi (tra questi: Cina, India Indonesia, Brasile e USA) investire, nei prossimi cinque anni, venti miliardi di dollari nella ricerca alla Green Energy; la seconda, denominata Breaktrought Energy Coalition, vede invece finanziare la ricerca dell’energia pulita, nelle zone in via di sviluppo, da ventotto tra i privati più potenti del pianeta: tra questi Jeff Bezo e Jack Ma, rispettivamente fondatori di Amazon.com e Alibaba Group. L’Italia, da parte sua, stanzia invece tredici milioni di dollari agli Stati dell’Africa per le energie rinnovabili. Lo scopo di queste decisioni è quello di sostituire il protocollo di Kyoto (dicembre 1997) con un accordo altrettanto valido quanto “moderno”; il protocollo nipponico, infatti, è il documento più recente in merito al clima. Fu firmato diciannove anni fa da centottanta Paesi e la sua estensione è stata prolungata, dal 2012 al 2020, con l’accordo di Doha apportando ulteriori obiettivi nella riduzione delle emissioni P.
Nel frattempo è importante iniziare da noi con “Azioni locali per benefici globali” (J.M.Barroso): ridurre l’utilizzo di automobili private in favore dei mezzi pubblici, limitare l’uso di spray, non può essere che un intervento positivo a favore di quel sottilissimo velo che ci avvolge che è l’ozono.
Incentivare a razionalizzare l’uso dell’elettricità e del gas sarebbe altrettanto positivo. Usufruire della forza della Natura investendo nelle energie rinnovabili, attraverso dispositivi già collaudati come i pannelli solari o le pale eoliche o attraverso nuove invenzioni come la Diga del Vento, messa a punto dalla Cheatswood Associates non sarebbe sbagliato; oppure ricavare energia dai nostri scarti con dispositivi come il generatore di corrente inventato da Kelvin Doe, quindicenne della Sierra Leone.

Autostrada A14
Si può quindi concludere che, per quanto ci siano ancora questioni irrisolte, il COP21 è stato un in-contro abbastanza proficuo, per effetto del quale molte Nazioni hanno assunto responsabili impegni per contrastare il Global Warming consapevoli del fatto che: “Non possiamo consegnare ai nostri figli un pianeta divenuto ormai incurabile: il momento di agire sul clima è questo” (Barack Obama, agosto 2015), altrimenti ci ridurremo a respirare “aria in bottiglia” come già succede in Cina.

Lungomare di Napoli

cod. conc. 1448885652190

2 pensieri riguardo “Gaia Hotel: “Si pregano i gentili ospiti di rispettare gli spazi comuni””

  1. Pingback: I FINALISTI | news

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *