Futuro senza colori, il Global Change sbianca la Grande barriera corallina

di Gabriele Vallarino, 27 anni, di Arenzano (Genova)

Novecento isole, tremila reef e con i suoi 2300 km di lunghezza la si può vedere persino dallo spazio: la Grande barriera corallina (Gbc) che si estende parallela alla costa orientale dell’Australia, nello stato del Queensland, è uno spettacolo di colori e di vita.

Pesci variopinti con pallini e strisce, che sembrano usciti dalla mente di un pittore, guizzano tra coralli tondeggianti, ramificati e dalle forme più bizzarre.
Dagli anemoni escono i pesci pagliaccio, dalle fenditure i pesci palla e le murene, lungo i pendii scoscesi nuotano i barracuda, gli squali e le tartarughe, mentre tutto intorno a questi scrigni di vita gravitano mammiferi marini affascinanti, come i dugonghi e i delfini.

Ma tutto questo paradiso potrebbe scomparire per sempre e la colpa è del cambiamento climatico che con l’innalzamento della temperatura della superficie del mare provoca il fenomeno del Coral bleaching ossia lo sbiancamento dei coralli, trasformando gli scenografici reef dai mille colori in un triste film in bianco nero.

A conferire quei meravigliosi colori alle barriere: giallo, rosso, blu, sono proprio delle piccole alghe unicellulari, le zooxantelle, che vivono in simbiosi all’interno dei tessuti dei coralli.
Tuttavia quando l’acqua è troppo calda, si aggira sui 30-35° C, questi piccoli organismi vegetali vengono espulsi. Il tessuto diventa quasi trasparente e il corallo appare bianco, proprio perché lascia intravvedere lo scheletro calcareo sottostante. Se la condizione di stress termico è temporanea, il corallo può riprendersi, ripristinando la simbiosi con le zooxantelle ma al contrario se temperatura persiste troppo a lungo, causa definitivamente la morte del corallo.

“Per la Grande barriera corallina si tratta del peggior evento di bleaching della storia – ha dichiarato la National Coral Bleaching Taskforce australiana (NCBT), un’unità che riunisce 10 istituti di ricerca e oltre 300 scienziati tra cui anche l’agenzia americana NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) – più di 1000 km hanno subito il fenomeno dello sbiancamento”.

A gennaio, nel cuore dell’estate australiana, erano giunti i primi segnali di allarme. Jodie Rummer, ricercatrice dell’ARC Centre of Excellence for Coral Reef Studies, notó segnali di bleaching mentre era intenta a studiare i pesci che vivono a Lizard Island, nel nord della Grande barriera.
L’Authority del parco marino della Grande barriera corallina da subito non ha perso tempo, dopo preliminari indagini di accertamento ha fatto scattare immediatamente il livello 3 che corrisponde a “severo sbiancamento regionale” su tutta la zona nord della Gbc, una fetta di mare di circa 90mila kmq che corrisponde ad un quarto del parco marino.

Da allora sono attivi i monitoraggi lungo tutti i reef: team di ricercatori planano sulla cresta dell’onda con aerei ed elicotteri per mappare e tenere sotto controllo la situazione.

“È stato il viaggio di ricognizione più triste della mia vita – ha commentato Terry Hughes, professore di biologia marina alla James Cook University e direttore dell’ARC – ho volato con l’elicottero a pelo d’acqua sui coralli da Cairns in direzione nord fino alla Papua Nuova Guinea e ho riscontrato tantissimi reef sbiancati”.

Ogni reef una fotografia, Hughes condivide i risultati del suo monitoraggio aereo cinguettando in tempo reale. Tweet dopo tweet, ripercorre la cronaca del suo volo con un susseguirsi di immagini che testimoniano le chiazze bianche lungo tutta la barriera del nord. Per la prima volta la Gbc è stata colpita nella sua zona settentrionale, area considerata da sempre incontaminata.

“Il mare scotta – ha dichiarato Russell Reichelt, presidente del parco marino – a febbraio la temperatura ha raggiunto i 33 gradi C, i coralli sono stati effettivamente immersi in acqua calda per mesi, subendo un inevitabile stress”.

corallo
Se il corallo è in salute, le zooxantelle simbiotiche nei suoi tessuti conferiscono all’animale un colore brillante. Alte temperature provocano l’espulsione delle alghe, quindi lo sbiancamento. Se lo stress termico è prolungato, il corallo muore e alghe infestanti potrebbero colonizzare la sua superficie esterna (Infografica adattata da “The Guardian”)

“I coralli sono animali termosensibili, tollerano solo un ristretto intervallo di temperatura (range ottimale 20°-30°C), è chiaro che il riscaldamento globale li danneggi – ha spiegato Hughes – la Gbc è già stata vittima di due grandi eventi di bleaching negli ultimi decenni, l’estate del 1998 e quella del 2002, dove rispettivamente il 42% e il 54% dei coralli furono decolorati”.

Ma questo evento è peggiore dei precedenti: “A nord solo 4 reef su oltre 500 sono in una condizione vitale – ha sottolineato Hughes – nelle nostre indagini attribuiamo ad ogni reef un punteggio che indica il suo stato di salute: 0 indica nessun bleaching mentre 4 segnala che più del 60% dei coralli sono sbiancati; comparando i dati odierni con quelli ottenuti nel 1998 e nel 2002 dal mio team, si nota che in passato erano meno di 200 i reef con punteggio 3-4 mentre oggi sono ben 450”.

Il bleaching sembra arrestarsi soltanto progredendo la Grande barriera corallina in direzione sud. Ironia della sorte, a proteggere i reef meridionali è stato il Ciclone Winston. Si è scatenato con ferocia sulle isole Fiji, nel mese di febbraio, ma allo stesso tempo ha raffreddato le acque, riducendo in diverse aree lo stress termico.

Il 2016 è stato un cocktail micidiale di fattori negativi: il riscaldamento globale da una parte e il fenomeno meteo El Niño dall’altra.

È inutile far finta di niente: “La barriera ha resistito agli effetti di El Niño per secoli, ma è da quando il riscaldamento globale è entrato nel vivo negli anni 1970, che si è dimostrato uno stress mortale per l’Australia” ha commentato Will Steffen del Climate Council. “È un link inequivocabile” ha dichiarato il professore Hughes.

Depurazione delle acque, limiti alla costruzione di porti, divieto di scarico di residui di dragaggio: il governo australiano con il suo piano di tutela “Reef 2050” pensava di essere al riparo dalle minacce e persino l’Unesco, premiandone la politica green di salvaguardia, la scorsa estate, ha cancellato la Grande barriera corallina dalla lista nera dei siti in pericolo.

Greg Hunt, ministro federale dell’Ambiente ha spiegato che “la diffusa moria di coralli all’estremo nord fa capire che servono piani per ridurre l’inquinamento dagli scarichi agricoli e per combattere le invasioni di stelle marine ‘corona di spine’, distruttive dei coralli”.

Ma le diverse organizzazioni ambientaliste non ci stanno: “Il governo sembra confuso sulle cause dello sbiancamento che è un fenomeno strettamente legato al cambiamento climatico e quindi è legato alla combustione di carbone” ha denunciato Kelly O’Shanassy dell’Australian Conservation Foundation e anche Greenpeace ha criticato le politiche del governo che rafforzerebbero le centrali a combustivi fossili.

Il cambiamento climatico “procede a un ritmo allarmante e senza precedenti” ha fatto sapere l’ONU nel suo nuovo report “Status of the Global Climate“. “Il 2015 è stato l’anno più caldo dal 1880 – ha evidenziato Petteri Taalas, Segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) – il nostro pianeta sta mandando un messaggio potente ai leader mondiali: è necessario tagliare le emissioni di gas serra adesso”.

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Distribuzione delle temperature del mare da record in Australia e zone limitrofe. Fonte: Bureau of Meterology.

 

Il bleaching e l’acidificazione degli oceani fanno emergere chiaramente che il nemico da combattere ha il volto della CO2 e il campo di battaglia in cui si gioca è il pianeta.

Occorre pensare in un’ottica globale, nessuno sulla base delle proprie emissioni, piccole o grandi che siano, può sentirsi a posto, bisogna tenere conto anche degli errori degli altri. Il cambiamento climatico non è democratico, talvolta colpisce chi ha meno colpa di tutti, come le aree incontaminate del triangolo dei coralli.

Come le foreste pluviali, le barriere coralline sono dei “concentrati” di biodiversità, gli scienziati li definiscono “hotspot”. Occupano lo 0,3% della superficie degli oceani eppure ospitano il 25% di tutte le specie marine. Proteggere queste “arche” significa proteggere la maggior parte della natura del mondo. Si stima che negli ultimi trent’anni la temperatura media della Grande barriera corallina si sia alzata di 0,4 gradi centigradi con conseguenze disastrose per questo ecosistema delicato.

Così la Grande barriera corallina che esiste da oltre 20 milioni di anni rischia di morire  con tutta la sua bellezza per colpa dell’attività dell’uomo degli ultimi decenni.

E intanto il monitoraggio dei reef continua.

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