Idroponica e acquaponica, le ricette del Belgio

EXPO2015 – INCHIESTA WHATEVER WATER settembre-ottobre 2015

Whateverwater Verticaledi Matteo Isidori e Rachele Bevacqua

Una stanza circolare e buia, ruote nere che girano lentamente, illuminate da lattughe di un verde intenso, pesci silenziosi e sbiancati scivolano nell’acqua torba di un acquario tondo, le insalate girano lente ma incessanti, in 150 minuti completano 360° e ricominciano. Se l’atmosfera non fosse spezzata dagli stridii dei bambini e dai flash delle macchine fotografiche sembrerebbe un luogo di strane magie, invece è solo la “cantina” del Padiglione belga in Expo Milano 2015, dove l’ingegnere agrario Zahar Sperandii gestisce l’impianto di coltivazione acquaponica. Non ci siamo sbagliati, è proprio acquaponica, né idroponica né acquacoltura, ma un mix delle due.

Un problema dell’acquacoltura, la coltivazione di pesci, crostacei o molluschi, è il fatto che gli escrementi degli animali sono ricchi di azoto organico, un componente altamente tossico per gli animali stessi. Un problema delle colture idroponiche è che richiedono grandi quantità d’acqua e di fertilizzanti (principalmente azoto inorganico, un fertilizzante naturale ma comunque aggiunto). C’è una soluzione: esistono in natura dei batteri, che possono anche essere artificialmente aggiunti, che nitrificano l’acqua, ovvero trasformano l’azoto organico degli escrementi in azoto inorganico, fungendo così da filtro naturale per l’acquario e da fertilizzante per le piante.

Le piante, posizionate su tutto il perimetro interno di una ruota, hanno le radici inserite in cubi inerti di spugna e al di sotto della ruota è collocato l’acquario con i pesci. Ogni due ore e mezzo la ruota compie un giro intero e i cubi di spugna vengono di volta in volta immersi nell’acqua, ricca di azoto inorganico.

La coltura acquaponica non è particolarmente belga né innovativa, in Asia viene utilizzata da migliaia di anni, semplicemente mettono dei pesci nei campi di riso, o delle anatre, e questo evita che si debbano aggiungere grandi quantità di azoto inorganico” mi spiega Zahar Sperandii, “è un tipo di coltivazione molto sostenibile perché permette di risparmiare circa il 90% di acqua rispetto alla coltivazione in terra; l’acqua, infatti, è sempre la stessa e non ci sono perdite come in un campo. Anche sui componenti chimici c’è un grande risparmio, l’azoto infatti viene spesso aggiunto ai campi ma la terra assorbe ed è necessario utilizzarne l’80-90% in più rispetto a quanto  invece necessario per le colture acquaponiche”.

Il padiglione belga ha scelto di presentare questa tecnica agricola in maniera un po’ spettacolare: al buio, con la coltivazione su ruota, utilizzando elettricità per luci a LED e per attivare la ruota. In realtà le colture acquaponiche possono funzionare in maniera ancora più sostenibile, l’elettricità può non essere necessaria se si utilizza la luce solare e si sviluppa la coltura in orizzontale, leggermente inclinata, per sfruttare la semplice forza di gravità per far circolare l’acqua. Le colture acquaponiche possono essere un’inestimabile risorsa in zone altamente urbanizzate che non hanno grandi disponibilità di terreni agricoli, in aree con scarse risorse idriche, in zone dove le caratteristiche del terreno non permettono la coltivazione. E per finire: addio terra nell’insalata! 

Il progetto WHATEVER WATER #cmqacqua è realizzato in partnership con Nestlé Italia e Carlsberg Italia.

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