Norme sulla qualità ambientale dei prodotto e sull’efficienza ambientale delle imprese: in Italia a che punto siamo? (12114)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Anna Carosi, 19 anni, Roma

La sensibilità ambientale è una conquista recente: fino al secolo scorso si è pensato in termini di crescita e produzione, e solo recentemente si è fatta strada la consapevolezza dell’impatto ambientale dei prodotti e delle azioni necessarie per produrli.

Fra le prime tappe “ufficiali” di questa consapevolezza Tullio Berlenghi – giurista ambientale, relatore al workshop di Giornalisti Nell’erba sul tema “Come si misura la greenicità” – indica la data del 1972, quando il Club di Roma, un’associazione non governativa di scienziati, commissionò al Massachusetts Institute of Technology di Boston il rapporto (ormai famoso)  I limiti dello sviluppo, “per valutare le conseguenze della crescita di alcune variabili fondamentali: popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare e consumo di risorse”.

Da allora lo sappiamo: crescere implica aggressione alle risorse naturali, che possono essere riproducibili… oppure no.

Assodato questo, occorre porsi una domanda: come vogliamo crescere, per non ritrovarci senza rischiare di ritrovarci senza più un pianeta sotto i piedi (o senza acqua, petrolio, …aria)? Le scelte coinvolgono tutti: istituzioni, operatori economici, cittadini. E’ questione di stili di vita, ma anche di norme. Per sollecitare buoni comportamenti ambientali abbiamo a disposizione tre modalità, spiega Berlenghi: “moral suasion, command and control o deregulation”. Mettendo da parte la deregulation, significa che o ci vuole un “poliziotto cattivo” o occorre rimboccarsi le maniche. E quindi tante aziende si sono rimboccate le maniche, per aderire alle norme sull’ambiente, ma anche per far conoscere le loro pratiche green, vere o (a volte) presunte.

Nasce quindi un altro problema: come distinguere green da greenwashing? Possono esserci utili le certificazioni..

In Europa, dal 1992 in poi, sono stati emanati diversi regolamenti che riguardano le certificazioni ambientali. Nel 1992 nasce Ecolabel, il marchio europeo di certificazione ambientale per prodotti e servizi. Si basa sull’adesione volontaria e viene concesso a prodotti o servizi che rispettano alcuni criteri stabiliti a livello europeo: si tiene conto di consumo energetico, inquinamento, produzione di rifiuti, risparmio di risorse naturali, sicurezza ambientale e protezione dei suoli.

Un’altra certificazione europea è l’EMAS (Eco-management and audit scheme), un sistema a cui possono aderire volontariamente imprese e organizzazioni che vogliono impegnarsi nel valutare e migliorare la loro efficienza ambientale. “Ha come indicatori chiave – spiega Berlenghi – efficienza energetica, efficienza dei materiali, acqua, rifiuti, biodiversità, emissioni”.

L’IPP (integrated product policy, cioè politica integrata dei prodotti) è “finalizzata a garantire che lo sviluppo tecnologico e industriale sia accompagnato da un costante miglioramento dell’efficienza ambientale della produzione”: in poche parole, intende responsabilizzare i produttori su tutto il ciclo di vita del prodotto, fino al suo recupero o smaltimento, e quindi comprende la fase successiva alla vendita coinvolgendo anche il consumatore in scelte consapevoli.

Il GPP, green public procurement, è l’approccio che le pubbliche amministrazioni devono avere, considerando nei loro acquisti gli aspetti di impatto ambientale di prodotti e servizi, favorendo con le loro scelte lo sviluppo di un mercato “più green”.

C’è poi l’EPD, environmental product declaration (in italiano DAP, dichiarazione ambientale di prodotto), che, come l’Ecolabel, è un’etichetta ecologica a cui si può aderire volontariamente. L’EPD prende in considerazione tutto il ciclo di vita di un prodotto o sevizio secondo il sistema LCA (life cycle assessment). La certificazione EPD viene verificata e convalidata da un organismo indipendente che garantisce la veridicità delle informazioni fornite da chi richiede la certificazione. “Uno degli obiettivi dell’EPD – dice Berlenghi – è quello di migliorare la comunicazione tra produttori e tra produttori e consumatori”, fornendo le “prove” di questa attestazione di greenicità.

 

cod. conc. 505134111


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