La bufala del cambiamento climatico

di Elisa Pompili, 14 anni, di Perugia

Sempre più spesso e con toni crescenti di allarmismo si sente parlare di riscaldamento globale, soprattutto in riferimento all’imminente pericolo che molte specie animali, tra cui l’uomo, vivono. Ma siamo proprio sicuri che tutto ciò che sentiamo o leggiamo sia vero? Molti tra i più importanti giornali, in accordo con gli uomini di governo più potenti, cercano di tenerci nascosta la presenza di almeno 500 scienziati, provenienti da tutto il mondo, che si schierano contro la bufala del cambiamento climatico. Le loro parole sono riportate in molti quotidiani, tra cui “Giornale Energetico”, “Il quotidiano oggi” e “Smartmagnetico”. Il documento, con le loro argomentazioni e firmato da 14 ambasciatori dell’European Climate Declaration, inizia così: “There is no climate emergency”, cioè “Non c’è nessuna emergenza climatica”.

Essi definiscono inutili e dannose le politiche internazionali per la salvaguardia del clima, in quanto non sono basate sulla solida scienza e non tengono conto della perdita economica che molti Paesi potrebbero subire vedendosi negato l’accesso all’elettricità a basso costo. Queste politiche diffondono solo allarmismo, perché la diffusione di gas serra, come ad esempio la CO2 (anidride carbonica), hanno un effetto benefico per le piante: hanno infatti portato all’aumento della biomassa vegetale globale e agevolano anche l’agricoltura, aumentando i raccolti in tutto il mondo.

Nella lettera riportano una documentazione geologica che prova una variazione climatica in atto da quando esiste il pianeta Terra, essa spiega che si sono sempre alternate fasi naturali calde e fredde. Da poco, nel 1850, si è conclusa una piccola era glaciale seguita da un periodo di riscaldamento che non deve sorprendere o preoccupare, ed è proprio il periodo che stiamo vivendo noi ora. Questa ignoranza parte dal fatto che a scuola non si parla abbastanza di ambiente; se si collegasse questo argomento alla storia scopriremmo che la situazione che stiamo vivendo non è affatto un evento isolato e che è destinato a ripetersi. Sul sito “Campanialive.it” sono presenti degli esempi concreti, provati da fonti scientifiche attendibili: tra il 500 e il 700 dopo Cristo le temperature erano fredde e umide, poi però, tra il 1000 e il 1270, si sono verificati dei cambiamenti che hanno reso l’atmosfera più calda; in questo caso non possiamo parlare di cause umane, proprio come sta accadendo a noi oggi.

“I 500” si mostrano collaborativi al dialogo, infatti invitano tutti gli scienziati e specialisti con idee discordanti dalle loro ad incontrarsi all’inizio di quest’anno, il 2020, per discutere e decidere insieme le corrette politiche da applicare in favore del clima, ammesso che davvero ce ne sia bisogno.

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Wi-fi, il silenzioso “boia” del pianeta

di Simone Fezzuoglio e Emanuele Santoro, 16 anni, del liceo G. Alessi di Perugia

Oggi il cambiamento climatico è uno dei problemi che più preoccupa la comunità scientifica ed  essendo stati posti esame da relativamente poco tempo, sono poche le certezze e molti i dubbi. Oltre a questo sul web sono comparsi centinaia di articoli “scientifici” che imputano la colpa del cambiamento climatico alle più svariate cause, : delle vere e proprie “bufale” scritte con il solo scopo di insidiare il dubbio e creare un’impenetrabile barriera di incertezza intorno al questo tema.

Sono pochi gli studi veramente affidabili, e fra questi occupano un posto di rilievo i rapporti dell’IPCC: il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change-IPCC). Quest’organo redige a intervalli regolari  valutazioni esaustive e aggiornate delle informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche riguardanti i cambiamenti climatici. Queste informazioni sono rilevanti per la comprensione dei mutamenti climatici indotti dall’uomo, degli impatti potenziali dei mutamenti climatici e delle alternative di mitigazione e adattamento disponibili per le politiche pubbliche.

Sono stati proprio questi rapporti ad evidenziare, nel tempo, le cause dei cambiamenti climatici ormai note alla maggioranza della popolazione. Ad esempio l’identificazione del ruolo dei gas serra che, esattamente come il vetro della struttura che dà loro il nome, catturano il calore del sole, impedendogli di tornare nello spazio. Ma l’IPCC punta il dito anche contro una delle principali scoperte tecnologiche di questo secolo: il Wi-Fi e le reti cellulari. In un recente rapporto è scritto: Le onde radio emesse dalle varie attività umane, soprattutto nell’ambito delle telecomunicazioni influiscono per il 74,8% all’aumento delle temperature medie oceaniche (tradotto dall’inglese).

Le radioonde vanno quindi a riscaldare gli oceani e i mari di 1,3 gradi Farenight all’anno. Per capire come sia possibile questo fenomeno basta pensare al funzionamento dei forni a microonde, che vengono usati per la cottura rapida dei cibi. In essi viene sfruttata l’azione del calore che si genera all’interno degli alimenti in seguito all’assorbimento dell’energia elettromagnetica di frequenze opportune. L’azione delle microonde si esercita sulle molecole d’acqua presenti negli alimenti: le molecole d’acqua si comportano come dipoli elettrici e tendono ad allinearsi lungo il campo elettrico oscillante generato dalle microonde. Di conseguenza entrano in rapida oscillazione e, urtandosi le une con le altre, producono calore all’interno della sostanza da riscaldare o da cuocere, in un tempo assai inferiore a quello normalmente necessario.

Mettere in relazione un microonde con il Wi-Fi può sembrare una follia, ma non lo è: il Wi-fi e il microonde sono più simili di quanto pensiamo, tanto che questi due strumenti funzionano oltre che con lo stesso tipo di onde le emettono anche sulla stessa frequenza. Infatti entrambi lavorano su una banda da 2,4 gigahertz che venne assegnata ai forni a microonde dall’International Telecommunication Union nel 1947 e venne poi “rubata” dalla Wi-Fi Alliance che la utilizzò per lanciare la sua rivoluzione su scala mondiale: le reti wireless che sono oggi in ogni casa. Ovviamente delle differenze ci sono: questi due strumenti lavorano con lunghezze d’onda completamente diverse. Le microonde, come dice il nome, hanno lunghezze d’onda che vanno da 1 mm a 30 cm, mentre le radioonde utilizzate da Wi-Fi e reti cellulari occupano la fascia dello spettro delle lunghezze d’onda maggiori, comprese tra 10 cm e 1 km. Un’altra differenza è che il microonde è progettato per essere una gabbia di Faraday quasi perfetta, cioè per tenere al suo interno le onde emesse, il Wi-Fi per emetterle all’esterno con la massima potenza possibile.

Ecco quindi spiegata la preoccupazione dell’IPCC; il Wi-Fi e le reti cellulari, pur emettendo radiazioni meno potenti (in quanto meno “concentrate”) di un microonde hanno un raggio d’azione che si estende per tutto il pianeta senza perdere quasi mai potenza, visto che il segnale è potenziato costantemente da migliaia di ripetitori.

Si può quindi affermare che grazie al Wi-Fi e alle reti cellulari abbiamo trasformato il nostro pianeta in un gigantesco “forno” a radioonde e gli effetti di questo surriscaldamento degli oceani saranno catastrofici. Oltre alle conseguenze per la biodiversità marina, è evidente che se si aumenta la temperatura dell’acqua di pari passo ne aumenta il volume. Ora, l’aumento di volume sarà irrisorio se scaldiamo l’acqua per cuocere la pasta a casa nostra, ma se a scaldarsi gli oceani l’aumento di volume sarà enorme, sempre l’IPCC ipotizza un aumento di livello dei mari fino a 2 metri entro il 2100. Se questa previsione dovesse avverarsi l’Europa apparirà come nell’immagine sotto.

Da qui possiamo facilmente comprendere la portata catastrofica di questo fenomeno, che è già in corso. Non possiamo fermarlo, perché è ormai troppo tardi, ma possiamo rallentarlo e cercare un rimedio a questo disastro che ci siamo creati. Alcuni attivisti moderni affermano che l’eccesso di tecnologie che ci circonda ci ha portato a questo punto, la sproporzionata avidità umana ci sta spingendo verso la fine: è a causa della ricerca scientifica che siamo arrivati a questo punto? Secondo noi no, come la scienza è in parte causa di questo problema essa potrà diventare una soluzione. La critica che viene giustamente mossa ai movimenti ambientalisti è che lo slogan “Salviamo il pianeta” è errato: la Terra continuerà tranquillamente a esistere senza di noi, si dovrebbe quindi dire “Salviamo l’umanità”. Non fare nulla, non parlarne e anche semplicemente non conoscere rende complici a questo gigantesco attentato all’umanità. Dobbiamo unirci consapevolmente a combattere la venuta di quello che sembra essere uno scenario da film apocalittico, ma che potrà diventare una terribile realtà.

ATTENZIONE!

Questo articolo è una bufala: la relazione tra il Wi-Fi, le reti cellulari e il cambiamento climatico è totalmente inventato, così come lo è la citazione al rapporto dell’IPCC. Non esiste nessuna prova scientifica a riguardo e probabilmente un fisico sufficientemente preparato potrebbe smentirci con facilità. Sono invece reali i dati sull’innalzamento dei mari. Abbiamo voluto mischiare dati reali con altri falsi per aumentare la credibilità della bufala.

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L’urlo green connette realtà virtuose

della redazione dell’Urlo Green della Pascoli – Nivola di Assemini( Ca), coordinamento di Roberta Mascia e Bernardina Troncia

Quest’anno il nostro blog dinamico ha dato voce alla Laguna di Cagliari, chiamata Stagno di Santa Gilla. In particolare ci siamo occupati della sostenibilità di un impianto industriale ubicato nella Laguna: le Saline Conti Vecchi.

Ai nostri servizi e reportage abbiamo dato un approccio propositivo per un’informazione costruttiva che non solo metta in luce delle buone iniziative, ma che possa anche creare una connessione fra le diverse realtà virtuose in modo da renderne più concretamente spendibili le idee.

l’URLO GREEN

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Promessa a interesse zero

di Raffaele Bianco, 17 anni, de La Siringa del liceo Alessi di Perugia

foto1In questa ultima campagna elettorale dove non sono state risparmiate promesse a piene mani, dopo il reddito di cittadinanza e la riduzione della tassazione, è stato persino messo in vendita  uno strumento di tutela per i cittadini e l’ambiente: si è parlato infatti di abolizione dell’obbligo del Bilancio di Sostenibilità per le imprese, una grande conquista sociale che interessi di parte dei grandi gruppi economici vorrebbero mettere a rischio. Si tratta certamente di un provvedimento favorevole soltanto al profitto delle imprese e che non è rivolto alla tutela delle persone.

Sebbene infatti la direttiva nr. 95 del 2014 del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea abbia reso obbligatorio questo tipo di bilancio per le imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e per gli enti pubblici che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni, tale direttiva viene reputata un rallentatore nello sviluppo delle imprese da parte dell’eminenza grigia dell’economia nonché dai dirigenti dei grandi poli societari. Recita infatti pieno di prosopopea elettorale il politico di turno: “la burocrazia e l’eccessiva rendicontazione sta soffocando le nostre aziende e ne limita il campo di azione, la nostra economia deve rifiorire forte di una nuova libertà”.

foto2Ma in tutto questo i diritti degli skateholders, cioè di coloro su cui l’attività di impresa ha un impatto, siano essi cittadini, dipendenti, fornitori, clienti, autorità locali o altri, che fine fanno? Se le imprese non hanno più l’obbligo di rendicontazione, in un mondo in cui il profitto detta le regole, quali saranno quelle imprese dal profondo senso etico che si occuperanno per scelta e  non per obbligo e per immagine dell’impatto sociale ed ambientale della loro attività? E se nessuno sarà più preposto a controllare l’attività delle imprese non solo da un punto di vista economico, a quale futuro dobbiamo prepararci?

Una tale promessa elettorale sembra inoltre proprio in controtendenza con l’orientamento europeo che è sempre più indirizzato verso un metodo uniforme di redazione del Bilancio di Sostenibilità come testimonia l’entrata in vigore dal prossimo luglio 2018 della versione aggiornata del GRI (Global Reporting Initiative) con le sue nuove trentasei linee guida. Persino l’EIPA (Ente Italiano Protezione Ambientale) per disingannare gli elettori ed opporsi a questa possibile futura proposta di legge tutta italiana ha pubblicato una previsione dell’impatto che avrebbe nei prossimi tre anni l’abolizione dell’obbligo del Bilancio di Sostenibilità: incremento della produzione di CO2 quindici volte superiore a quella attuale, terreni agricoli avvelenati dai residui tossici, inquinamento delle falde acquifere, aria con una percentuale più alta di particelle pesanti, un reale pericolo per ogni singolo cittadino. Se questo provvedimento fosse approvato dal Parlamento Italiano nella prossima legislatura, nell’arco di un solo decennio lo scenario del paese peggiorerebbe drasticamente portando l’Italia ad essere il fanalino di coda sia nel rispetto dell’ambiente che nella sicurezza e salute dei suoi cittadini.

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Coop: bilancio di sostenibilità da “brividi”

di Valerio Bucciaglia, 14 anni, di Pomezia

grafico-bucciagliaProprio ieri abbiamo parlato con un dipendente Coop che ci ha rivelato i dati del bilancio di sostenibilità dell’anno 2017.

Purtroppo il bilancio riporta dati tragici. Come riferito dal dipendente nel documento in oggetto si dice che la frutta e la verdura contengono alte concentrazioni di ossidano, un agente tossico che se presente in concentrazioni elevate può anche provocare la morte. La Coop è stata multata centinaia di volte dopo i continui controlli ma anche cambiando fornitore l’ossidano rimaneva in concentrazioni superiori alla norma.

Purtroppo ancora oggi ci dice il dipendente che la Coop è sanzionata per questo motivo e non riesce a trovare soluzione. La situazione è ancora peggiorata ritrovando l’ossidano anche negli scarichi fognari provenienti dall’azienda, ovviamente la cooperativa di consumo sta cercando di nascondere tutto ai clienti per evitare una ulteriore crisi.

Infatti la Coop a causa di queste multe continue ha avuto un calo economico dello 80% e la sua clientela si è ridotta drasticamente, ha anche dovuto chiudere molti suoi punti vendita e si prevedono anche molti altri licenziamenti nel Lazio e nella Toscana.

Ormai la situazione è fuori controllo e non si sa se l’azienda riuscirà a riprendersi.

Non ci resta altro che sperare, queste sono le ultime parole amare del dipendente che ha preferito rimanere anonimo per evitare il licenziamento. Noi ringraziamo comunque quest’ uomo per il suo coraggio e per la sua disponibilità.

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Bilanci di sostenibilità? Ci pensavano già i Sumeri

di Edoardo Giraldi, 15 anni, del liceo Dante Alighieri di Roma

Lo diceva Ferdinand Tönnies già agli inizi del Novecento: non fatevi rapire dalle sirene del presente perché la soluzione è nella storia del mondo. E allora: studiamola meglio questa storia. Arriveremo a capire che molte idee che circolano nella società contemporanea altro non sono che banali ripescaggi di esperimenti che si perdono nella notte dei tempi. Tentativi riusciti (a volte), dolorosi fallimenti in altri casi. Limitiamoci ai primi: potremmo imparare tutti a vivere meglio.

   Pensate, dunque, che i grandi temi dell’ecologia, del rispetto per l’ambiente e della sostenibilità siano frutto del mondo post industriale? Sbagliato. Uno dei primi a trattare, in pratica, questi argomenti fu tale Set, secondo il Vangelo apocrifo di Enoch. Set, lavoratore della terra, usava perimetrare il suo piccolo campo di ortaggi con i semi di un’anguria oggi introvabile se non sull’isola di Hokkaido, in Giappone. Questo perché la pianta allontanava, naturalmente, parassiti e insetti pericolosi, zanzare comprese. A meno di un centimetro, si apprende sempre dal racconto gnostico, erano sistemati noccioli di albicocca che, a contatto con le radici dell’anguria, rendevano la terra umida per mesi, rendendo di fatto inutile ogni forma di irrigazione.

   Ne sapevano qualcosa anche i Sumeri che, come è noto, non avevano bisogno di arare i terreni agricoli : li lasciavano a riposo un mese ogni sette anni, bagnandoli qua e là con il succo di un agrume molto simile all’attuale pompelmo.

   Avviciniamoci ai tempi odierni.

   Caterina I di Russia ne sapeva, davvero, una più del diavolo. In effetti le esperienze non le mancarono di certo: figlia di contadino, sposa di trombettista, operaia in una lavanderia, poi zarina di tutte le Russie. Una vita movimentata, non c’è dubbio, raccontata in una sorta di autobiografia diventata un “samizdat” diffuso durante il periodo comunista. Caterina rivela le brutalità subite durante il suo periodo di vita da operaia: i turni di lavoro massacranti, le prepotenze dei suoi datori di lavoro.

   “Finché un giorno non ci venne a trovare un’anziana signora, di bell’aspetto anche se trasandata nell’abbigliamento. Era la moglie di un ufficiale russo ormai a riposo, aveva con sé una decina di abiti del marito che noi avremmo dovuto lavare. Eravamo in pieno inverno, il freddo era intenso come solo da noi sa essere. La poveretta si avvicinò a me e osservò con attenzione le mie mani, rovinate da calli e piaghe perché immerse da troppe ore nell’acqua gelata. ‘Ti voglio comunicare un segreto – mi disse – Ma non dire mai a nessuno che a rivelartelo sono stata io’. Acconsentii di buon grado e quella donna mi suggerì di mettere ogni dieci litri di acqua destinati al lavaggio degli indumenti due foglie di betulla e la buccia di una patata. ‘Lascia tutto a mollo per un’ora – mi disse ancora – poi ti basterà un veloce risciacquo e il gioco è fatto: il vestito esce pulito e quasi inamidato. E con il liquido che resta potrai lavare senza sforzi l’argenteria’”.

   Per Caterina è la svolta. Custodisce quel segreto anche quando diventa moglie di Pietro I, uomo sulla cui taccagneria si è favoleggiato fin troppo. Lei non è mossa da spirito ecologico, non pensa ancora alla sostenibilità di certe azioni. Non vuole che camicie e uniformi del marito possano essere toccati da altri, punto e basta. Il bucato lo fa lei, ogni giorno, con grande soddisfazione dello zar: usando due foglie di betulla e la buccia di una patata. 

   Necessita fa virtù in Cina. Siamo in un laogai, uno dei famigerati campi di concentramento dell’epoca maoista. Lui si chiama Hang Tse, è un dissidente. Nell’inferno della “rieducazione” Hang deve vivere almeno sette anni, salvo possibili aumenti di pena. Siamo nel vivo della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.

   È dura, durissima. Le condizioni del campo sono pessime, il cibo scarseggia e il lavoro fisico imposto ai prigionieri è snervante. È un compagno di cella di Hang a suggerirgli l’unica via d’uscita: i vecchi del campo hanno tutti un barattolo di vetro contenente una misteriosissima sostanza che toglie la fame, donando energia e salute. Si tratta di noccioli di ciliegia seccati e ridotti in polvere: un elisir di lunga vita riconosciuto come tale anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Hang viene liberato dopo dieci anni di detenzione e riesce a scappare in Giappone. Dove, nonostante il cuore di ferro, muore a 109 anni per un ictus fulminante.

   Timidi segnali di una vita in cui sono spesso le condizioni negative a suggerire possibili, innocui accostamenti alla Natura. Bisogna arrivare in Italia, all’immediato dopoguerra, per assistere al primo esperimento di un bilancio sostenibile soddisfacente, studiato in funzione del risparmio collettivo. È quanto decisero di fare gli Italo-albanesi di Montecilfone, in Molise, produttori “industriali” di comunissime mele “Renette” e di una particolare canna da zucchero chiamata “Kallam”. La figura del medico, in quella comunità, non esisteva: merito, assicuravano i capi del villaggio, delle vitamine contenute in quelle mele, la cui buccia veniva usata per lavare le stoviglie e i cui semi (opportunamente essiccati) venivano utilizzati per tenere accesi i camini, funzionando molto meglio del legno. La grande sorpresa fu nella “Kallam”: il succo estratto, oltre ad essere un potentissimo disinfettante naturale, fungeva da carburante per muovere le braccia di una decina di mulini nei quali si macinava il grano. L’acqua zuccherata in eccesso finiva poi con l’irrigare i campi.

   Era una comunità ricca ma forse nessuno se ne accorgeva.

avvertenze

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Mcblende: il panino che può salvare il mondo

di Gabriele Ripandelli, 17 anni, corrispondente gNe da Perugia e redattore de La Siringa (liceo G. Alessi, coordinamento Annalisa Persichetti)

panino-mec“Panta rei” : tutto scorre, nel concreto tutto può avere una seconda vita.

Questo è quello che ha pensato A.R.C.( American Recycling Company), un’ associazione che si sta espandendo in tutto il mondo, quando il 20 gennaio 2017 ha deciso di dar vita al progetto”MCD 2.0″ che entrerà realmente in azione nell’estate 2017.

L’idea sarebbe dovuta essere presentata già a Coop22 a Marrakech, ma per un imprevisto i capi dell’associazione non hanno potuto partecipare e dunque della notizia si parla ancora poco.

Il tutto partirà dal MCDonalds , reputato da molti  il regno del cibo che fa male e di scarsa qualità, per renderlo, indirettamente, un fast food per la salvaguardia del mondo.

provetteL’idea è quella di trasformare il cibo, fonte d’energia per il corpo umano, in carburante, fonte d’energia per le macchine. Gli scienziati che lavorano per A.R.C. avrebbero già trovato la miscela che renderebbe possibile sostituire definitivamente il petrolio e gli altri combustibili fossili per salvaguardare il pianeta dall’esaurimento delle fonti non rinnovabili. Si tratterebbe di un concentrato degli avanzi del cibo in una miscela di idrogeno e una sostanza variabile tra cluoro e ferro, che permetterebbe di avere una sostanza light per cilindrate minori o strong per quelle maggiori.  Come convincere gli automobilisti?  “la gente tiene al proprio pianeta quanto al proprio portafoglio- dice l’economista John Fuel-una soluzione che costa di meno e che sostenga il pianeta sarebbe gradita a tutti: non serviranno macchine diverse come quelle elettriche e sarà un combustibile adatto a qualsiasi automobile, moto o motorino.”

In questi mesi saranno messi dei primi prototipi di carburante a disposizione dei dipendenti dell’azienda da provare direttamente nelle loro automobili. Dopo uno studio dei risultati ottenuti il carburante inizierà ad essere diffuso nei vari distributori americani e magari, se in America ci sarà una grande risposta positiva da parte dei clienti, tra qualche anno anche la tua automobile userà questa miscela: saresti disposto a provarla?

A salvare il pianeta si inizia dai cambiamenti nel quotidiano e questo pare proprio poter esserne un esempio, chi ci dice che a salvare la Terra non potrebbe essere proprio il cibo?