Storie mute

Opera di Aureliana La Pusata, 20 anni, di Barrafranca (Enna)

“Tutte le sere, alle sette e trentasette  del martedì e del venerdì una ragazza con il cappotto a fiori prende il bus 14 in direzione Stadio.

Tutti i giorni, alle otto e quarantatrè, o alle otto e cinquanta, una bici sfreccia verso la zona ovest della città.
Tutti i giorni, alle sei e quarantacinque, un ragazzo sulla trentina apre la saracinesca del bar all’angolo, poi s’accende nervosamente una sigaretta e aspetta il primo cliente del mattino: è un professore sulla cinquantina con gli occhi grigio-ghiaccio, ordina un macchiato e lo beve amaro e bollente, ma prende sempre una bustina di zucchero.
In ogni istante, a questo incrocio, si intrecciano segreti, si allacciano in un groviglio inestricabile migliaia di storie, migliaia di vite. Senza toccarsi, sfiorandosi appena o rimanendo legate per sempre.

(nell’impaginato, tutto il testo)

 


 

Il blackout

Racconto di Marianna Antonuzzi, 18 anni, di Monterotondo

C’era una volta un sommo saggio che molto tempo fa predicava nelle piazze, si chiamava Eraclito e sosteneva che “tutto scorre”: Panta Rei.

Renato, un giovane principe azzurro della Repubblica Italiana del XXI secolo, ingenuamente si interrogava sul come potesse un filosofo dell’antica Grecia dare a lui, giovane uomo del terzo millennio, consigli di vita.

Proprio per via di queste incomprensioni di carattere logico Renato per quel giorno scelse di chiudere il tomo di filosofia e di uscire a farsi una passeggiata.

C’era un bel calduccio a quell’ora soleggiata del pomeriggio, ma Renato non parve farci caso: sbuffò sfilandosi il giacchetto in ecopelle e si calcò gli occhiali sulla testa, grugnì infastidito dal sole che non gli permetteva di leggere il display del telefono: inarcò la schiena per gettare ombra sul cellulare e gli occhiali da sole gli scivolarono sul naso, ma finalmente era riuscito a sbloccare lo schermo e ad alzare la luminosità.

Fossilizzarsi sul progresso: conflitti territoriali e sviluppo locale nel brindisino

articolo di Riccardo Totano, 28 anni, di Mesagne (Brindisi)

Fino a 44 morti l’anno, direttamente imputabili alle emissioni inquinanti della centrale termoelettrica a carbone “Federico II” di Brindisi, secondo uno studio di tre ricercatori del CNR pubblicato dalla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health.
Neanche questo dato allarmante sembra, ad oggi, in grado di scatenare un conflitto locale nel territorio brindisino.
Oggi gli strumenti a disposizione degli amministratori locali, in termini di disciplina ambientale, di assoluto primo piano riguardo alla trasformazione dei territori che governano, si scontrano sempre più con problemi di gestione dei conflitti ambientali, intesi non tanto come classici conflitti tra “inquinatori” ed “inquinati”, quanto come contrapposizione di aspirazioni contrastanti, tutte apparentemente legittime, e differenziate soltanto da una diversa concezione di quali siano i beni che vanno prioritariamente salvaguardati e le procedure necessarie per affrontare il problema. 
Le situazioni complesse ed instabili che si vengono a creare costituiscono terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di conflitti.
I conflitti riferiti alle politiche ambientali, territoriali e paesaggistiche si presentano in diverse modalità: mobilitazioni preventive, figlie di una società civile sveglia e attiva, che fanno pressione su determinate scelte normative; opposizioni anche verso decisioni di tutela ambientale o paesaggistica o, addirittura, verso la realizzazione di impianti per energie rinnovabili. 
In tutti i casi, il conflitto, più che un’opposizione a qualsiasi decisione, rappresenta una crescente domanda di protagonismo dei cittadini nei confronti di un territorio vissuto e costruito collettivamente.
Sempre più spesso progetti di interesse generale finiscono per arenarsi di fronte alle divergenze tra gli esperti, le amministrazioni pubbliche e le proteste locali, la cui rilevanza porta con sé dei costi politici, economici, sociali e psicologici.
Tuttavia, accanto a situazioni ben note alle cronache nazionali ed internazionali, ne esistono altre che, seppur gravissime, continuano ad essere quasi del tutto ignorate dai mezzi di comunicazione, utilizzate in maniera speculativa dalle classi politiche centrali e locali e, aspetto ancor più grave, sottovalutate dalle popolazioni direttamente coinvolte. Tra queste, vi è Brindisi.

The Limits to Growth

Articolo/inchiesta di Rebecca Vitelli, 22 anni, di Carpineto Romano

Una delle convinzioni più radicate dell’era moderna è certamente l’inesorabile e inarrestabile crescita del progresso. È il cosiddetto mito del progresso, sviluppatosi nel XVIII secolo con l’Illuminismo, che si fonda sull’idea che l’uomo, grazie allo sviluppo ed ampliamento delle proprie conoscenze, possa riuscire a dominare la realtà, la natura e costruire una società sempre migliore. Ogni avanzamento, infatti, viene visto come sommatorio e positivo, secondo una visione meccanicistica. L’entusiasmo prodotto dal progresso scientifico sembra non fermarsi mai ed è, anzi, rafforzato dalle continue innovazioni e scoperte tecnologiche. L’uomo si convince di poter controllare ogni cosa o quasi e le risorse disponibili vengono sfruttate in modo indiscriminato, senza alcuna preoccupazione per un loro eventuale esaurimento. Il giorno in cui non saranno più disponibili, o diventeranno irrimediabilmente scarse, è visto come lontano, un puntino all’orizzonte che appartiene ad un futuro tutt’altro che prossimo. La società contemporanea con il suo stile di vita frenetico, orientato al consumismo, sta minando le basi del benessere e la stessa sopravvivenza delle generazioni future, come se non fosse nostro compito consegnare un ambiente, almeno non peggiore di come lo abbiamo ereditato.
Il concetto di sostenibilità ambientale è, ormai da anni, sulla bocca di tutti, se ne dibatte animatamente, ma nel concreto poco è stato realmente fatto; oggi, invece, è più che mai indispensabile un cambiamento reale e tangibile.

Panta Rei, il film mai realmente esistito o quasi

Falso servizio giornalistico, di Alessandro Colonna, 21 anni di Monteroni di Lecce, per descrivere la situazione attuale del Salento. Ogni anno in provincia di Lecce vengono diagnosticati circa 4000 nuovi casi di tumori. La maggiore incidenza si riscontra nel carcinoma polmonare, con un tasso standardizzato dell’88.7% nei maschi e del 12,1% nelle donne, e il tumore della vescica, 63.7% nei maschi e 8.6% nelle donne. La sopravvivenza, nei casi di tumore della vescica, a cinque anni, è dell’80%. Continua a crescere la mortalità per il tumore polmonare al ritmo del 2,5% medio annuo nelle donne, come l’incidenza (+4,7%). La sopravvivenza, per maschi e femmine, nei 5 anni è del 17%. L’incidenza di questi tumori risulta superiore sia alla media regionale che a quella nazionale, che è del 79%.

Panta Rei, il film mai realmente esistito. O quasi. Perché il film, quello vero, esiste nella quotidianità. E il cielo è sempre più.

Video di Alessandro Colonna
Hanno partecipato Giorgio Gabe, Chiara Fasanelli, Leonzio Colonna, Elio Fasanelli, Tonia Maniglia, Francesco Spedicato

 

World Warm War

di Doriana Benedetti, 19 anni, di Tarquinia (Viterbo)

2016, un anno portatore di grandi speranze o che ci prepara solo ad affrontare amare delusioni sul piano politico-ambientale?
Una scossa, sembra averla data la conferenza di Parigi svoltasi alla fine del novembre 2015.
Ciò che rende l’accordo della Cop2015 storico è il riconoscimento del rischio del riscaldamento globale su scala mondiale, ben 195 paesi hanno sottoscritto il trattato portando quindi, la necessità di una risposta collettiva al problema dalla teoria ai fatti.
In sintesi, l’accordo preso assegna obiettivi individuali da rispettare ogni 5 anni, tuttavia si tratta di una cornice flessibile che lascia vasto margine di azione, ponendosi quindi, in un contesto in cui la promessa di limitare l’innalzamento della temperatura mondiale a 1.5°C può sembrare irrisoria e non attendibile.
Nonostante ciò, il trattato pone l’accento sui finanziamenti disposti per i Paesi in via di sviluppo, atti a fornire i fondi per l’adattamento ai termini esposti e sui paesi geologicamente più a rischio come l’Italia.
Non si tratta solo dell’ormai conosciuto scioglimento dei ghiacci con il conseguente aumento del livello del mare, estremamente noto l’allagamento costante di Venezia che, nel giro di qualche decennio potrebbe diventare la nuova Atlantide, ma soprattutto di fenomeni come frane, temporali, incendi, crescente erosione ed aumento della desertificazione.
E’ già troppo tardi per evitare l’inevitabile?
Luca Mercalli non sembra essere di quest’avviso, secondo un articolo de ‘Il Bo’, giornale dell’università degli studi di Padova del 2012; in ogni caso quest’eventualità potrebbe manifestarsi se l’egoismo economico non lascerà spazio al collaborazionismo ecologico.
Sotto uno scenario governato da una stretta logica che vede solo il profitto e non è capace di prevenire una risposta tutt’altro che benevola del pianeta di fronte ai cambiamenti che potrebbero palesarsi su larga scala, come la scomparsa di numerose specie, già in atto ed in vertiginoso aumento, e l’avvelenamento del suolo e dell’acqua.
Di fronte ad una situazione del genere, l’alternativa Marte si rivela una soluzione possibile?
In ogni caso, si tratta di avvicinarsi ad un sogno che ben presto potrebbe diventare una risorsa; la conquista del pianeta è una scienza in cantiere.
La partenza di Exomars del 14 Marzo dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, dà la spinta alla più importante missione spaziale dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) degli ultimi anni.
La prima parte della missione consiste nel far atterrare la sonda TGO, in sostanza un satellite, e il lander Schiaparelli che invierà dati dal suolo al pianeta; il viaggio durerà all’incirca 18 mesi. I dati saranno elaborati e utili alla successiva missione del 2018 che invierà un rover –robot automatico- in grado di muoversi sulla superficie di Marte.
Che cosa ci porterà l’esplorazione del pianeta rosso?
Nessuno può dirlo con certezza ma di sicuro ‘ I cambiamenti climatici sono reali, sta succedendo proprio ora’ ha annunciato, sbalordendo tutti, Leonardo Di Caprio nel suo discorso di ringraziamento all’Oscar, ‘E’ la minaccia più urgente che abbia mai affrontato la nostra specie ‘ ha continuato, perciò ‘Non diamo per scontato questo pianeta’. E’ l’unico che abbiamo e come tale dobbiamo adoperarci per difenderlo dal più ostile dei mali, noi stessi.

cod. conc. 1448041618565

JACOPO TAMBELLINI, VIAGGIATORE

JACOPO TAMBELLINI, VIAGGIATORE
STORIACCIA IN QUATTRO ATTI
di Francesco Toscani

ATTO PRIMO
SAN PAOLO DELLE CASCATE

I banditi erano arrivati quattro giorni prima. Gli uomini stavano rientrando a casa, chi portando i frutti, chi la cacciagione. Dagli usci esalavano spesse fette di fumo, simili a cascate rivolte verso l’alto. Il paese aveva iniziato a riempirsi di vocii, risate e battute, poi qualcuno aveva urlato mentre un uomo caracollava per la strada con una freccia piantata nel collo, altre tre frecce avevano colpito un tettuccio di paglia, una si era piantata nell’occhio largo, stupito di una contadina, e loro erano apparsi. Armati, grossi e sporchi. Il fraticello aveva lanciato loro un’occhiata e subito aveva visto le armature e le spade in ferro – armi da guerrieri, non da pezzenti; quelli venivano da una qualche guerra, erano ex soldati, magari disertori, non banditi di professione. Il suo amico, frate Mattia, era corso loro incontro, gridando in latino, e uno di loro si era fatto avanti e aveva calato lo spadone sulle sue tempie. Poi doveva essere iniziato il massacro; ma il fraticello non l’aveva visto. Accanto a lui c’erano due bambini; li aveva afferrati per i polsi (ricordava ancora la sensazione delle loro braccine ossute che premevano contro il suo pollice) e aveva iniziato a correre, guardando davanti a sé, il cuore che gli martellava il petto, cercando di non badare alle urla. Si era tuffato dietro la casetta di mastro Federico e, così facendo, si era gettato un’occhiata alle spalle.

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Quando a far paura è il clima..

di Rebecca Vitelli, 21 anni, di Carpineto Romano (Rm)

Problema attuale ed urgente quello delle migrazioni, con migliaia di persone che ogni giorno sbarcano sulle coste italiane ed europee affrontando stremanti peregrinazioni, a piedi e con mezzi di fortuna, in cerca di speranza e di un futuro migliore, confidando di trovarlo varcando le frontiere del Vecchio Continente.
Da troppo tempo ci si interroga su come arginare e soprattutto far fronte a questo fenomeno in continuo aumento. Eppure, ad oggi ben poco è stato fatto, e sicuramente non abbastanza. Ad ogni nuovo sbarco ed ennesima tragedia si sente discutere sterilmente sulla differenza tra “rifugiati” e “clandestini”, soggetti a due opposti trattamenti, eppure questa distinzione non tiene conto di un gruppo di persone, sempre più numeroso: i rifugiati ambientali. Nonostante lo stretto legame tra cambiamenti climatici e migrazioni forzate sia, ormai, universalmente accettato dalla comunità scientifica, e la lotta al climate changing sia un tema centrale a livello internazionale, non si è ancora giunti ad un riconoscimento formale dello status di questi migranti. Le cause ambientali delle migrazioni non sono, infatti, riconosciute dal diritto internazionale, che fonda lo status giuridico di rifugiato sulla Convenzione di Ginevra sui Rifugiati (1951) e sul successivo Protocollo del 1967, che garantiscono questa tutela in presenza di quattro elementi:
• Trovarsi al di fuori dei confini del paese d’origine
• Il paese d’origine non è in grado di offrire protezione o rendere possibile il ritorno
• La migrazione deve essere inevitabile
• La causa della migrazione deve essere legata alla razza, all’appartenenza ad un gruppo sociale o ad un’opinione politica

Futuro senza colori, il Global Change sbianca la Grande barriera corallina

di Gabriele Vallarino, 27 anni, di Arenzano (Genova)

Novecento isole, tremila reef e con i suoi 2300 km di lunghezza la si può vedere persino dallo spazio: la Grande barriera corallina (Gbc) che si estende parallela alla costa orientale dell’Australia, nello stato del Queensland, è uno spettacolo di colori e di vita.

Pesci variopinti con pallini e strisce, che sembrano usciti dalla mente di un pittore, guizzano tra coralli tondeggianti, ramificati e dalle forme più bizzarre.
Dagli anemoni escono i pesci pagliaccio, dalle fenditure i pesci palla e le murene, lungo i pendii scoscesi nuotano i barracuda, gli squali e le tartarughe, mentre tutto intorno a questi scrigni di vita gravitano mammiferi marini affascinanti, come i dugonghi e i delfini.

Ma tutto questo paradiso potrebbe scomparire per sempre e la colpa è del cambiamento climatico che con l’innalzamento della temperatura della superficie del mare provoca il fenomeno del Coral bleaching ossia lo sbiancamento dei coralli, trasformando gli scenografici reef dai mille colori in un triste film in bianco nero.

A conferire quei meravigliosi colori alle barriere: giallo, rosso, blu, sono proprio delle piccole alghe unicellulari, le zooxantelle, che vivono in simbiosi all’interno dei tessuti dei coralli.
Tuttavia quando l’acqua è troppo calda, si aggira sui 30-35° C, questi piccoli organismi vegetali vengono espulsi. Il tessuto diventa quasi trasparente e il corallo appare bianco, proprio perché lascia intravvedere lo scheletro calcareo sottostante. Se la condizione di stress termico è temporanea, il corallo può riprendersi, ripristinando la simbiosi con le zooxantelle ma al contrario se temperatura persiste troppo a lungo, causa definitivamente la morte del corallo.

“Per la Grande barriera corallina si tratta del peggior evento di bleaching della storia – ha dichiarato la National Coral Bleaching Taskforce australiana (NCBT), un’unità che riunisce 10 istituti di ricerca e oltre 300 scienziati tra cui anche l’agenzia americana NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) – più di 1000 km hanno subito il fenomeno dello sbiancamento”.