Tutto fa brodo (9441)

Inchiesta di Rebecca Vitelli, 18 anni, di Carpineto Romano,

L’Ultental, o Val d’Ultimo, è una valle, a pochi chilometri da Merano, lunga 40 km, nella zona occidentale dell’Alto Adige, che, come tutte le vallate tirolesi ha prati verdi, boschi fitti, alte montagne e soprattutto antichi masi, proprietà fondiarie connesse con l’allevamento del bestiame. Nel cuore di questo paradiso però, alla fine degli anni ’80, venne costruita una diga che spazzò via molti ettari di terreni agli abitanti e sommerse diverse case e alcuni tra i più bei masi, per un totale di 32 aziende. Ma da questa sciagura, come un fiore nel deserto, è sbocciato il progetto “Sopravvivere a misura d’uomo di Val d’Ultimo”, su idea di Waltraud Schwienbacher, la titolare del Maso delle Erbe Wegleit. Con la costruzione della diga ha perso 9 ettari di terreno coltivabile e circa 7 ettari di bosco, oltre a casa e fienile. Per avere nuove entrate Waltraud, il cui nome significa “colei che non teme di andare nella foresta”, accortasi che bisognava cambiare qualcosa, cominciò a coltivare erbe in estate, che ora sono il suo guadagno principale, e a lavorare la lana in inverno. Lana che, suo marito e il figlio tessono al telaio per circa 3 mesi e poi lei colora con radici, erbe e cortecce, creando così dei graziosi vestiti. A causa del lievitare dei prezzi, i contadini non potevano più vivere nei piccoli masi rimasti e, costretti a spostarsi, dovevano andare a lavorare fuori e, questa tradizione sarebbe in breve scomparsa. La famiglia di Waltraud ha condotto un inchiesta fra la popolazione per capire quali fossero i problemi più grossi da risolvere e per valorizzare la loro risorsa primaria, ovvero il bosco. Al termine dell’indagine sono stati creati dei gruppi di lavoro: uno per l’agricoltura, uno per il commercio e il turismo, uno per le questioni sociali e la cultura e uno per l’ecologia comunale. Ad ogni gruppo è stato dato un programma e si è cominciato a lavorare, nel primo anno del progetto si sono tenute oltre 60 riunioni, ed alla fine si è concluso che la Val d’Ultimo è un luogo dalle mille possibilità. Nella Valle c’è tanto bosco ma, difficile da lavorare, dove i contadini dovevano fare tutto da soli, anche portare il legname vicino alla strada per caricarlo. Grazie a questo progetto è stata istituita nel 1994 una scuola invernale, dove s’insegna, tra le tante cose, a tagliare la legna nella giusta fase lunare, e si sono avviati anche progetti finalizzati a produrre energia bruciando la legna, così da tagliare la spesa per gasolio. Su 4 paesi presenti nella valle, 3 hanno già il riscaldamento centrale con legna prodotta sul posto. Della legna non si spreca niente: la corteccia si usa per conciare e tingere, la resina per produrre il miele e il sapone e per curare, gli aghi di pino per i trattamenti benessere e i prodotti terapeutici per la circolazione e i polmoni. Inoltre i contadini hanno ottenuto l’autorizzazione a raccogliere la legna che i forestali lasciano a marcire sui terreni demaniali, (produce la stessa quantità di CO2 se è bruciata nelle caldaie per la produzione di energia), e a portarla al comune, così da poterne ricavare un po’ di soldi. Tre contadini hanno acquistato le macchine spaccalegna, come investimento sul loro maso, ed ora forniscono legna tagliata agli alberghi. Attualmente Waltraud ha in cantiere un altro ambizioso progetto: scaldare l’acqua a 280° e produrre elettricità con il vapore, così da utilizzare esattamente tutto della legna. Nella scuola non poteva certo mancare un corso per imparare a filare la lana, prodotto principe nella zona, ma poco sfruttato, infatti nei mercati locali veniva buttata via. Così vennero prodotti molti indumenti, che ricevettero però la critica di “pizzicare troppo”, allora Waltraud si è attrezzata: ha importato inizialmente 4 capre d’angora e cachemire dalla Svizzera, ora ne ha più di 20 nel suo maso, che sono del tutto simili alle capre autoctone, e vivono in malga in alta montagna dalla metà di maggio fino alla fine di giugno, ma producono una lana così sottile che non può essere filata da sola, ma deve essere mescolata con il 30% di lana di pecore da latte. Grazie a questo “stratagemma” è stato risolto l’inconveniente del “pizzicare” e gli indumenti sono divenuti appetibili per il mercato. Nella scuola invernale la lana viene anche lavorata, in modo naturale, non con sostanze tossiche e lo stesso avviene  nella lavorazione del cuoio. Le pelli di capra e di pecora, che i contadini buttavano, perché pagate solo 50 centesimi l’una, e quindi il trasporto era antieconomico, ora vengono commercializzate. Con questa pelle si producono scarpe,  borse e vestiti e con una lavorazione un po’ più lunga anche una pergamena di ottima qualità. Nei masi, e specie in quello di Waltraud, che tra l’altro nel 2006 ha ottenuto dalla Women’s World Summit Foundation di Ginevra un premio per la creatività delle donne rurali, si usa e riusa tutto, senza produrre inutili sprechi, questo è un grande insegnamento per noi, come ci dice la donna infatti “siamo diventati poveri perché non vediamo più la ricchezza che abbiamo attorno, c’è tutto quello che serve per vivere una vita semplice, sana e felice.” Se il lavoro umano si connota come cura dei luoghi in cui si vive e da cui si ricavano i beni necessari a vivere, sfruttando tutti gli ingredienti che la natura ci offre riusciremo a cucinare un “ottimo brodo”. Se invece proseguiremo nella “ricetta”che stiamo preparando, renderemo sempre più grave la crisi ambientale planetaria, avvicinandoci progressivamente alla possibilità dell’estinzione di ogni forma di vita sul pianeta Terra. Così non abbiamo futuro.

cod. concorrente 3101193448


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