Il mare (14505)

Simone Di Blasio, 18 anni, del Liceo Scientifico “F. Enriques”, di Ostia, cullato dalle onde si è abbandonato in una ricerca oltre i confini del mare…

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E cosa c’è di più ingannevole dell’orizzonte delineato dal contatto tra il cielo e il mare? Qual è quella linea sottile che separa il confine dall’ “oltre”?

Come si suppone, il mare è il più grande enigma posto da Dio all’uomo:  la prova ultima, a tratti facile, ma pur sempre la più grande fonte di “cupiditas” dell’uomo.

Sono ormai millenni in cui l’uomo considera il mare come principale rivale del proprio limite, e ciò è più che evidente notando il modo in cui antichi cantastorie, poeti, menestrelli, oratori, fino ad arrivare a scrittori più contemporanei, descrivono il mare come una sorta di seconda personalità dell’animo umano.

È come se fosse un alter-ego da sconfiggere brutalmente, per poter trovare la pace interiore, cercando di utilizzare ogni propria energia fisica come scopo ultimo il proprio obiettivo prefissato.

Ciò che ha sempre implicato il mare è stata la fatica fisica e psicologica, evidenziata principalmente da poeti greci, ovvero Omero, colui che narrò le vicende di Odisseo, uomo che intraprese la più grande battaglia con il suo unico vero nemico, ossia il mare.

Non dopo più di dieci anni, non dopo la perdita dell’intero esercito, Ulisse si arrese al mare, imprecando gli dèi, coltivando la speranza nel suo cuore, che teneva saldo il suo fisico, incentivandolo ad utilizzare tutta la propria forza: “ Se nuoto ancora”, Ulisse nel V canto dell’Odissea: “Più avanti […] temo che la tempesta mi trascini di nuovo, e mi porti tra cupi gemiti sul mare pescoso, o che un dio mi susciti contro un gran mostro del mare”.

È alquanto evidente, in Omero, l’impronta della verosimiglianza mitologica dell’uomo turbato dalle decisioni divine, che tentano di limitare di confini della sua volontà, ma sono proprio quest’ultime dalle quali si origina il coraggio, come conseguenza della paura, nella figura di Ulisse, pronto a tutto pur di affrontare il lungo viaggio che lo separa dalla propria patria.

La tematica del mare come contrasto tra ciò che è trascendente e ciò che è immanente, tuttavia, è presente non solo nell’Odissea di Omero, in cui Ulisse combatte contro il mare sulla terra a causa di una decisione divina, ma è presente anche in autori tra il XV e il XXI secolo.

Autori americani come Hemingway, che nel suo capolavoro “il vecchio e il mare” mette in risalto la volontà psicologica dell’uomo nel volersi salvare dal suo più caro amico, o in Dante Alighieri, che vede, nel Purgatorio, l’acqua come il più grande se non unico mezzo di purificazione; in autori anglosassoni, come Swift o Defoe, i quali vedono il mare come “sfida ai propri confini”, i quali prima o poi l’uomo dovrà affrontare: esempio è Robinson Crusoe, il quale, a seguito del suo naufragio, inizierà a pregare.

Tuttavia, Petrarca è l’autore che più evidenzia il contrasto tra il divino e il terreno, identificandolo nel mare. Nel suo “Canzoniere”, il sonetto al mare localizza la vera condizione del poeta, un uomo su un vascello che mai troverà un porto in cui riposare: “passa la nave mia calma d’oblio per aspro mare, a mezza notte, il verno, enfra Scilla e Cariddi, ed al governo siede il signore, anzi, ‘l inimico mio […] Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra l’onde è la ragion e l’arte: tal ch’incomincio a  desprar del porto”

L’autore, nella prima quartina e nell’ultima terzina prese in analisi, si rispecchia nelle sembianze di un uomo senza speranza, senza ragione, poiché vive la realtà sua come un dualismo tra trascendente (Dio) e immanente, che supera il suo limite (Laura), non potendo calmare in sé il suo spirito tempestoso.

Meno spirituale è invece l’approccio che Charles Baudelaire, nel suo “L’uomo e il mare” presenta nei confronti del mare stesso, indicandolo come unico nemico, ma allo stesso tempo unico fratello dell’uomo, riferendosi ad egli stesso in seconda persona singolare.

Enuncia: “uomo libero, sempre tu amerai il mare. Il mare è il tuo specchio; tu miri, nello svolgersi infinito delle onde, la tua anima”. In conclusione afferma: “ […] Sono innumerevoli i secoli che vi combattete senza pietà né rimorsi, talmente amate la carneficina e la morte, eterni lottatori, fratelli implacabili.

È importante individuare il cambio di registro che l’autore ha eseguito tra la prima e l’ultima parte dello scritto: infatti, inizialmente egli risalta, quasi con un tono rassicurante e realisticamente oggettivo, la vera natura dell’uomo nei suoi rapporti col suo “oltre”: il mare. Conclude in seguito con un campo semantico più crudo, quasi come se volesse analizzare in dettaglio ogni aspetto, sia positivo che negativo, di questi due fratelli, compagni di battaglie che uccidono, amano la carneficina, la morte, superano i loro stessi limiti negli scontri, gelosi l’un l’altro dei propri segreti.

Dunque, il mare, come l’uomo, è un abisso di segreti, un pozzo senza fondo, lo specchio della realtà dell’uomo, ma allo stesso tempo è l’elemento regolatore dell’equilibrio terrestre.

Umberto Galimberti, noto intellettuale contemporaneo, localizza e descrive il mare proprio come un abisso completo di ogni cosa, esteso nello spazio e nel tempo. È un’essenza  senza confine, che giace negli orizzonti al di là dell’orizzonte, come fosse una sostanza metafisica, e ciò spiegherebbe il motivo per cui l’uomo è così condizionato e tentato di conoscere i segreti di questo immenso abisso.

Ci narra Galimberti: “ Il mare si fa simbolo del senza-confine che impaurisce chi abita terre protette, intimi focolari, passioni quiete che nessuna gioia ha fatto danzare, alcun dolore inabissato. Il mare conosce la danza e l’abisso, ma chi sono coloro che hanno abbastanza cuore per questo?”

Perciò, cos’è che genera il mare dentro lo spirito umano? Scrittori, critici, filosofi e intellettuali come Galimberti, lo definiscono come fonte di gioia che suscita la “danza”, ma anche un abisso di dolori.

Il mare, composto d’acqua, ha sempre vissuto, fin dalle prima forme di vita, come sostanza indefinita che definisce, genera e distrugge e, come già ben noto, è da sempre stato a contatto con l’uomo fin dal liquido amniotico del grembo materno; è anche sinonimo di morte, nella quale ogni individuo e organismo è costretto, prima o poi, a sprofondare.

Ci sarebbe ultimamente da chiedersi se questa sostanza sia così necessaria per l’uomo, nella sua utilità nel farlo sopravvivere, mantenerlo, oppure sfidarlo a superare i confini dell’orizzonte, oppure ucciderlo. Anche se, ormai, chiunque rimane affascinato dalla sua bellezza al tramonto, senza potersi rendere conto della sua ingente forza demolitrice.

Simone Di Blasio


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