I pericoli del pianeta vivente (6050)

Inchiesta dei redattori della II media C dell’Istituto Comprensivo di Vezzano Ligure, coordinati dalla professoressa Manuela Maggiani

Il nostro pianeta è come un essere vivente, per non ammalarsi  ha bisogno di cure, di interesse, di amore, altrimenti è destinato a morire.

Ecco siamo partiti da questo assunto che poi non è così scontato, abbiamo iniziato a documentarci, a fare domande, ad osservare, e abbiamo scoperto che nel nostro microuniverso: una piccola città, molti sono i  segnali d’allarme. Uno fra tutti ricorre periodicamente sui quotidiani, ma viene presto dimenticato, forse perché è triste parlarne, oppure scomodo : la percentuale di malattie tumorali, in particolare dell’apparato respiratorio, sta crescendo.

Ci siamo chiesti quali responsabilità ha l’uomo in tutto questo, dove è l’errore, oppure se la natura è matrigna come pensava Leopardi.

Dopo esserci  sguinzagliati come cani segugi, avvalendoci  anche delle memorie storiche: i nonni, abbiamo fotografato le emergenze  della città in cui viviamo e che vorremmo tornasse quella che le nostre fonti hanno conosciuto.

MIASMI DALL’EX AREA IP

Voglio parlare di una storia nata a La Spezia molti anni fa, quando le industrie nella nostra città erano numerose ed erano sì un bene, perché portavano tanto lavoro, ma in cambio costringevano gli abitanti a vivere in un ambiente guastato dai veleni che producevano.

La storia parla di un posto chiamato ex area IP, zona in cui era stata costruita una raffineria, cioè uno stabilimento dove si lavorava il petrolio. La raffineria era situata fra il quartiere di Mazzetta e le colline di Sarbia e Isola. Era stata fondata già prima della guerra; negli anni si erano avvicendate varie proprietà, l’ ultima delle quali prima che chiudesse, nel 1983, era la IP, la famosa società che distribuisce prodotti derivati del petrolio. Questo impianto è stato in funzione per circa sessant’ anni.

Che sia stata chiusa, dal punto di vista dell’ ambiente è di sicuro un bene: una raffineria non è mai una cosa sana per il luogo in cui sorge, e ancor meno lo era in quel lungo periodo fra prima della guerra e il passato recente, più o meno fino agli anni 90. Allora le industrie inquinavano senza nessuna regola, non dovendo rispondere alle richieste di una scienza che si chiama “ ecologia “, una parola usata, fino allora, da persone che sembravano  opporsi al progresso. Quel progresso che  ci faceva vivere più comodamente. E poi questa raffineria era proprio vicino alla città. La si poteva vedere appena dietro alle nostre case, con i suoi serbatoi, le strutture di ferro e il suo alto camino da cui  scaturiva una fiamma sempre accesa, giorno e notte.  Quella fiamma, e non solo quella naturalmente, ma tutti i gas che uscivano dall’ impianto – noi spezzini allora non lo sapevamo, o per lo meno lo sospettavamo solo-inquinava l’ ambiente, anche se sembrava bella, così simile a quella che a volte si vedeva nella pubblicità dei prodotti petroliferi.

Poi appunto, la raffineria fu chiusa e demolita. Rimase solo l’ area vuota, senza le strutture e i  serbatoi, come un piccolo deserto con l’ erba che cresceva alta tra le piazzole di cemento e le stradine. Quando venne il momento di pensare a quello che si poteva fare di questa grande area ( come costruire nuove case o uffici, per esempio) ad un certo punto qualcuno si accorse che il terreno dell’ area nascondeva una brutta sorpresa: era inquinato. Inquinato da una grande quantità di scorie petrolifere. Come mai?  Per una serie di motivi: erano finite giù, forse per qualche manovra sbagliata, o perché le apparecchiature perdevano e nessuno si preoccupava di eliminare le perdite, o forse perché, in generale, lavorare grandi quantità di petrolio comportava il rischio che una parte finisse nel terreno, e nel terreno sarebbe rimasto – non scolato o evaporato, come fa l’ acqua – e avrebbe rovinato il luogo praticamente per sempre.

Così, come oggi tante persone lasciano i sacchetti dell’ immondizia in giro, magari una volta succedeva che quelli che dovevano lavare un serbatoio in queste industrie, buttavano per terra tutti i residui di quello che avevano lavato. Un po’ la stessa cosa succedeva nel mare, quando le petroliere scaricavano nafta in acqua per lavare le stive, e quella nafta se la ritrovavano sulla spiaggia i nostri genitori e nonni.

Mancava la cautela nel maneggiare le sostanze dannose e l’ errore era pensare che

“ tanto il mondo è grande” e quindi si può fare tutto, anche buttare veleno nella terra, perché “chi se ne importa dove andrà a finire”. Invece il mondo è sì grande, ma non infinito, e non ne abbiamo uno di ricambio.

E quindi, ora quell’ area ce la ritrovavamo lì, a mostrarci cosa voleva dire trattare il posto in cui viviamo come una fogna: una grande zona collinare su cui non si poteva fare più nulla, nemmeno ricostruire, perché chi vuole una casa o un ufficio dove si respira aria velenosa che sale dalla terra?

Così, da anni sono in atto lavori di bonifica per depurare l’ area, scavando in profondità per eliminare le sostanze velenose dal terreno. L’ opera non è ancora finita, dato che si sta liberando la zona pezzo dopo pezzo o, come si dice nel linguaggio più corretto, “ a lotti”. La città si sta riprendendo un’ area che l’ inquinamento aveva portato via, ma ci vorrà ancora tempo per completare tutto.

 

UN MONDO DI SPAZZATURA

Il nostro territorio vive una storia di inquinamento e degrado ; essa è riferita ad un luogo in cui molta gente , per tanti anni, ha scaricato sul terreno rifiuti tossici industriali di ogni tipo, senza alcun controllo: è la “discarica di Pitelli”, così chiamata perché si trova lungo la strada che provenendo da La Spezia porta al paese.

Essa è stata attiva a partire dagli anni ’70 fino ad una quindicina di anni fa, ed ha accolto scarti di lavorazioni  di industrie provenienti da molte parti d’Italia.

Negli anni in cui questa cosa è cominciata, l’industria appariva come la soluzione ai mali dell’umanità perché  forniva tutto quanto rendeva la vita più bella e comoda (automobili, telefoni, frigoriferi, lavatrici, oggetti in plastica di tutti i tipi,  vestiti in fibre sintetiche, detersivi) cancellando fatica e miseria. Quindi sembrava normale che tutti quegli scarti e rifiuti che l’industria produceva per poterci dare le cose che piacevano tanto, dovessimo accettarli come qualcosa di inevitabile, come un mezzo da pagare al progresso. Che le industrie rovesciassero in certi posti un po’ nascosti delle campagne questi rifiuti era la prassi, non avevamo familiarità con la parola “ECOLOGIA”, patrimonio lessicale di uno sparuto gruppo di intellettuali ritenuti “stravaganti”.

Però col passare degli anni nelle località vicine a queste discariche si moltiplicavano le storie di persone che si ammalavano. Le malattie erano sempre le stesse e colpivano tutte le fasce di  età, finchè qualcuno  non ha cominciato a sospettare che le due cose fossero collegate, che il cattivo odore che veniva fuori dalle discariche non fosse solo qualcosa che infastidiva, ma poteva fare anche male, molto male.

Gli anni passavano, i cittadini facevano sentire sempre più forte le loro proteste, ma le industrie continuavano a rovesciare nelle discariche quei rifiuti perché non esistevano ancora leggi che lo impedissero. Anche quando quelle leggi arrivarono, ci furono persone che continuarono a portare rifiuti pericolosi facendo credere che non lo erano, finché finalmente la cosa non fu scoperta e la discarica di Pitelli fu chiusa. Certo, omai il danno era fatto, la collina di Pitelli aveva già raccolto nelle sue viscere tonnellate di rifiuti, che potranno essere eliminati solo con una lunghissima e costosa operazione di bonifica.

Cosa possiamo dire?

Due cose, secondo me.

Una è che, come sembra chiaro, ci sono persone che non hanno scrupoli a trattare la terra come se fosse una fogna e, pur di aumentare i propri guadagni, e quindi evitare smaltimenti, non si fanno problemi a comportarsi come si sono comportati quelli della discarica di Pitelli.

Per questo occorre stare attenti, coinvolgere chi ci sta intorno – il mondo degli adulti, i nostri genitori, i nostri amici, le persone che ricoprono cariche di responsabilità – invitandoli a prestare più attenzione a quello che accade nel territorio, a non permettere che chi tratta la Terra come un porcile, possa continuare a fare quello che fa senza che nessuno si alzi e dica “no”.

L’altra cosa è che l’episodio è uno di quelli in cui è facile dare la colpa “agli altri” e qui gli “altri” sono gli industriali che hanno sfruttato la collina di Pitelli come discarica illegale. Secondo me, però, non fa che raccontarci come tutti ci lamentiamo, ma poi facciamo parte di un mondo che partecipa “all’affare” perché ciò che producevano quelle industrie lo abbiamo usato, come usiamo tante altre cose che ci rendono la vita più comoda e divertente (vogliamo i cibi confezionati uno a uno, le bottiglie in plastica perché pesano meno di quelle di vetro, buttiamo via elettrodomestici solo perché sembrano “vecchi”, magari abbandoniamo il nostro apparecchio televisivo, funzionante ma superato, accanto ai cassonetti o peggio ancora, lo buttiamo nella scarpata perché non abbiamo voglia di portarlo al centro di smaltimento). Ci rendiamo conto troppo tardi che tutto questo ha un prezzo, quando vediamo che nel territorio dove siamo nati e cresciuti non possiamo più vivere. Salvo, appunto, pensare che noi non c’entriamo niente, che sono stati “gli altri” a fare il danno.

La realtà è che difendere l’ambiente non è un dovere “degli altri”. E’ un dovere di ciascuno di noi, a partire dai piccoli comportamenti quotidiani, scegliendo quello che compriamo in base ai nostri veri bisogni, senza sprecare, smaltendo i rifiuti come deve essere fatto, senza scambiare le nostre campagne per una discarica; e poi stando attenti ai consumi di energia, di gas, di petrolio. La Terra su cui viviamo non ha risorse infinite, e non possiamo comportarci come se lo fossero. La terra non può nemmeno accogliere i rifiuti prodotti dal nostro voler tutto. I rifiuti saranno nell’aria che respiriamo e nei cibi che mangiamo.

 

FUMO: UN PROBLEMA PER LA SALUTE E PER L’ AMBIENTE

Avete mai notato che guardando per terra invece che camminare nei marciapiedi  noi passeggiamo su un tappeto di mozziconi di sigaretta? Ormai è una cosa normale, non  facciamo più caso a questi piccoli bastoncini arancioni che ci stanno invadendo; sono dappertutto: nei parchi, nell’ erba, davanti alla scuola, nelle spiagge, nel mare e anche in luoghi dove non si dovrebbe fumare.

Pensate poi che quello che noi comunemente chiamiamo “ cicca o mozzicone ’’ è solo una parte di tutte le sostanze inquinanti! Accendere una sigaretta significa immettere in ambiente più di 4000 sostanze chimiche ad azione irritante, nociva, tossica, mutagena e cancerogena. Dobbiamo sapere che si deteriorano in lunghissimi tempi, occorrono da tre a quindici anni perché il filtro riduca le fibre a una materia invisibile all’ occhio umano, che non si vede, però è dispersa nell’ambiente.

Quindi le sigarette oltre a fare male , inquinano l’ ambiente; non sarebbe così se i fumatori si preoccupassero almeno di gettare le cicche nei cestini raccoglitori. Posso testimoniare l’ incuria di chi ha questo vizio, per esempio tutti i giorni davanti a casa, un vicino che fuma, semina per la strada, nella sua e nella mia proprietà, mozziconi e pacchetti vuoti, che finiscono tra un cespuglio e l’ altro. Ho cercato di pensare quale soluzione proporre per risolvere il problema e mi sono immaginata un pratico pacchettino di carta con un divisore al centro contenente: da una parte le sigarette e dall’ altra i resti di quelle ormai aspirate, in attesa di trovare un cestino. Sarebbe anche utile potenziare i portacenere, fissi davanti alle spiagge, ai semafori, lungo le strade.

Il problema però è trovarlo il cestino perché in certi comuni non ce n’è neanche uno e l’ unica soluzione è cercare un cassonetto dei rifiuti, è per questo che spesso ci sono cartacce e sigarette: i cestini mancano, o sono troppo lontani e spesso manca la voglia di cercarli.

Le sigarette sono in cima alla top ten dei rifiuti del Mediterraneo , perché i bagnanti fumatori non si lasciano incantare dalla bellezza del mare e delle coste e hanno bisogno di ingrigire il paesaggio.

La raccolta differenziata non aiuta: di quale materiale è il contenitore delle sigarette? Dove vanno i mozziconi?

Forse la soluzione sarebbe potenziare la campagna anti – fumo e sensibilizzare con interventi di esperti i ragazzi delle scuole primarie e secondarie.

 

S.O.S.:FARFALLE CERCASI

Un giorno di primavera , nel parco con la nonna, ci passò davanti una bellissima e coloratissima farfalla, ebbi la sensazione di essere proiettata in un mondo fantastico, non ricordavo di averne viste, senz’altro non così belle. La nonna che si era accorta del mio stupore mi raccontò che quando lei era piccola delle farfalle ne esistevano numerose varietà, lei ammirava i loro colori, le variazioni e cercava di acciuffarle con il retino. Ce n’erano molte ai suoi tempi e coloravano il prato, mi spiegò che la loro sparizione è colpa dell’uomo: cioè del riscaldamento della terra, della siccità, dei pesticidi utilizzati in agricoltura e quindi dello stravolgimento degli ambienti naturali. Mi disse che le farfalle hanno bisogno di piante e fiori per vivere e che la mano dell’uomo le ha costrette a stravolgere le loro abitudini. Così decidemmo di andare a cercare informazioni su internet: il WWF le usa come indicatori dei cambiamenti climatici, e nelle loro oasi è possibile rivederle come quando le osservava la nonna. Lei mi propose così di partire per visitare l’oasi naturalistica di Arcola. Ci volle un po’ di pazienza, finalmente una svolazzò davanti a noi, indugiando su un fiore, quasi consapevole che lì era al sicuro anche dai collezionisti predatori. Poi riprese il suo volo simile ad una danza.

 

IL SACRIFICIO DEGLI ALBERI

Io abito in un quartiere della città di La Spezia. Verso la fine di ottobre vicino a casa mia hanno tagliato tantissimi alberi, perché vogliono realizzare un uscita dal raccordo autostradale. Ho chiesto a mia mamma cosa ne pensava, lei mi ha risposto così: ”Secondo me è un peccato che si taglino tanti alberi per una strada”. Ha aggiunto anche che noi siamo penalizzati perché abitiamo di fronte a una ciminiera dell’Enel (indiscutibilmente poco salubre) e l’unica zona verde e quindi naturale era proprio quella che stanno cancellando. Secondo lei si poteva trovare un’ alternativa senza deturpare l’ambiente e minare la salute degli abitanti. Io in quel momento sono stato orgoglioso di mia mamma perché non se n’era “fregata”come avrebbe potuto fare, tra l’altro anche io lo penso al suo stesso modo. Dopo un po’ lei ha aggiunto che la realizzazione e il progetto avrebbe però comportato una conseguenza positiva per lei, perché la città vive in una crisi economica e il suo bar ne ha risentito, i lavori richiamerebbero squadre di operai, probabili clienti e lei ricaverebbe un aiuto per affrontare tutte le spese per la sua attività. La mamma dopo un momento di malinconia mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: ”Ricordati, non bisogna mai mettere il profitto personale davanti al pensiero di quello che si lascerà per le future generazioni e comunque dobbiamo rispettare le persone che potrebbero soffrire per una scelta sbagliata”. Io sono stato orgoglioso per le parole della mamma e mi auguro che tanti la pensino come lei.

 

LA FORESTALE ALL’ ATTACCO DELLA COCCINIGLIA

Forse perché sono figlio di una guardia forestale amo passeggiare nei boschi e sono un discreto osservatore . Spesso mi rattristo perché vedo i nostri boschi cancellati dagli incendi, ma anche in cattiva salute.

Ho intervistato alcuni rappresentanti del corpo forestale dello stato, essi mi hanno spiegato che l’aspetto “malato” di molti esemplari di Pino marittimo è dovuto ad un parassita proveniente dal Marocco: il “Matsu coccus feytaudi”detto volgarmente cocciniglia del Pino.Esso è un insetto parassita che si colloca nella corteccia e succhia la linfa provocando una resinazione dovuta alle sue punture. Altri insetti, principalmente coleotteri, attratti  dalla debolezza della pianta depositano larve che scavano gallerie nel legno, causando la morte del pino.

L’attività della forestale consiste nel frenare l’avanzata dell’epidemia con il taglio delle piante infette e nello sminuzzare rami e frasche perché diventino sostanza organica per altre specie boschive.

Ma la responsabilità di chi è? Dell’uomo che commercia e importa legname infetto.

Purtroppo ci vorrà tempo prima che un bosco si ricostituisca, nel frattempo nei terreni denudati si originano erosioni, smottamenti, frane.

CAVALLUCCI MARINI: I DINOSAURI DEL MARE

In questi anni con “interviste” e verifiche personali ho appurato una triste notizia riguardo alla fauna marina: l’habitat, soprattutto in prossimità delle coste è mutata: alcune specie risultano ormai estinte, altre presenti in modesta percentuale. Abitando a La Spezia, città di mare, ho potuto verificare quanto detto svolgendo alcune immersioni in compagnia dei miei genitori.

Per approfondire ho intervistato ”storici” frequentatori di spiagge  spezzine, erano semplici domande, si trattava di ritornare indietro di circa quarant’anni, rievocare la situazione del mare e delle coste e  confrontarla con quella  attuale. Le risposte in linea di massima erano simili, riportavano tutte ad una  constatazione: un tempo il nostro mare era popolato da splendidi pesciolini colorati che si muovevano in branco, stelle e cavallucci marini. Oggi non sono più stati avvistati i cavallucci, e le stelle marine sono pressoché scomparse nel Golfo di La Spezia; ho effettuato immersioni per  verificare  ciò che mi è stato detto ed effettivamente tutto combaciava.

La conclusione di tutto questo è che l’ambiente marino  negli ultimi anni è cambiato in peggio e tutto questo è  riconducibile all’inquinamento.

Ho constatato con i miei occhi galleggiare rifiuti, molti in materiale non degradabile e persino carogne di animali, in particolare topi.

Spesso il problema è a monte, nei fiumi che portano con sé il loro carico di morte.

Mi chiedo quando ci ricorderemo che solo il rispetto consentirà di consegnare un pianeta sano.

 

LA GUERRA DELLE MEDUSE

Durante l’estate molti spezzini trascorrono le loro giornate alla “Baia blu”, nello stabilimento balneare  che si affaccia su una splendida insenatura situata tra il golfo di La Spezia e quello di San Terenzo.

Oltre al verde della vegetazione mediterranea che ricopre le terrazze a picco sul mare, i bagnanti possono godere di un mare limpido e perciò invitante.

Negli ultimi due anni però, ciclicamente si è manifestato il fenomeno il fenomeno dell’invasione di meduse: piccole, iridescenti, fluttuavano con eleganza, incuranti di chi cercava di sfuggire il loro contatto.

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La loro bellezza era proporzionale al fastidio che procuravano: ignari bagnanti, spesso bambini uscivano doloranti dall’acqua, costretti a ricorrere a pomate lenitive.

Per tale motivo spesso i bagnini sconsigliavano il bagno in mare e partivano in “pedalò”per catturare con il retino più prede possibili, tornavano a terra con il loro carico di morte: la leggerezza che  contraddistingueva quelle creature primordiali si trasformava in un ammasso di rivoltante gelatina.

Il fenomeno delle meduse, sempre più frequente nei nostri mari , è legato al riscaldamento delle acque e alle trasformazioni che il nostro pianeta sta vivendo.

Buco dell’ozono, effetto serra sono ormai termini ben conosciuti, eppure malgrado gli allarmi lanciati da molte voci autorevoli ci sembra che non siano stati presi provvedimenti efficaci.

Forse la bruciatura provocata dall’invasione di meduse sarà solo una piccola conseguenza da sopportare!

 

“Baia blu” estate 2010

 

DICHIARAZIONE DI GUERRA ALL’UOMO

Dal mese di ottobre nei quotidiani sono riportate notizie di frane e smottamenti.

Nella nostra provincia  ne sono state segnalate circa 150 senza contare quelle di minore entità, per lo più in terreni privati o fuori dalle vie di transito.

Le più gravi si sono verificate:

-a Ripa di Vezzano Ligure

-sulle colline di Lerici e lungo la provinciale che collega a Fiascherino

-al Passo della Biscia a Varese Ligure.

Enormi i disagi poiché si fa fatica a liberare le strade e molti sono rimasti isolati: a Fiascherino per i rifornimenti possono contare solo sui trasporti via acqua, quando naturalmente le condizioni del mare lo consentono.

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Molte attività sono state messe in ginocchio e alcuni ristoratori che avevano investito tutto hanno dichiarato di aver contratto debiti e di cercare un altro lavoro.

Anche lo stabilimento balneare “Baia blu”, ristrutturato recentemente, è stato danneggiato da uno smottamento provocato dal vento e dalla pioggia che si sono abbattuti per giorni senza interruzione.

Che cosa sta succedendo?

Non solo nella nostra provincia, o in Italia, assistiamo a sconvolgimenti climatici, disastri in Australia, in Brasile, in Africa, in America,  la Terra brucia, o affoga,tempeste di neve e ghiaccio appaiono dove ieri era impensabile.

Mancanza di scoli, di rete fognaria adeguati, disboscamento, abbandono della montagna dove non c’è più nessuno a pulire i boschi, deviazioni e interramenti dei fiumi, abusivismo edilizio, sono alcune delle cause indicate dagli esperti .

I”vecchi”dicono che il pericolo era in agguato da tempo, e adesso la terra si sta sgretolando sotto i nostri piedi.

E’ la terra che hanno amato, da cui spesso hanno tratto sostentamento coltivando la vite e l’ulivo; ormai nessuno ha più voglia di arrampicarsi per”battere”le olive o per potare la pianta , di portare quel carico di acini su per i terrazzamenti che sono la carta di identità della nostra terra.

La natura ha portato il suo conto, lo stanno pagando le famiglie che a Forcola o Arcola hanno abbandonato la loro abitazione dichiarata inagibile perché sommersa dal fango trascinato a valle, chi porterà con sé il ricordo di una massa di acqua e terra che stava per travolgerlo, i familiari della poliziotta.

Borisov Vitaly, Cribari Pasquale, Ferrari Alessia, Gallerini Adriano, Gallerini Rossella, Gatti Vanessa, Gianfranceschi Selene, Gioan Davide, Iacono Veronica, Lori Marco, Maggioncalda Lisa, Papadhopulli Sophie, Recchia Alessio, Savi Elena, Stefanelli Matteo, Trafossi Giorgia, Zampolini Chiara.

 

cod. conc.1411160951

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