I rifiuti di Unilever dove vanno a finire? Intervista a Ugo De Giovanni(12175)

sabato, aprile 5th, 2014 (12175)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Chiara De Luca, II A della scuola media I. C. Don Milani, Monte Porzio Catone

La parola GREENICITA’ deriva dalla parola green, dall’inglese verde, che consiste nel produrre prodotti sostenibili che non danneggiano la salute dell’uomo e dell’ambiente. Questo è il principio utilizzato dall’Unilever, una multinazionale(industria che si trova in ogni stato).

Essa produce cosmetici, detersivi, cibi surgelati, cibi freschi, salse, condimenti, prodotti per la casa, bevande…

Attraverso la lettura dei loro siti utilizzati per farsi pubblicità emerge che L’Unilever non invia rifiuti in discarica, che ha aumentato in soli due anni il suo acquisto dell’Olio di Palma da fonti sostenibili.

Per saperne di più abbiamo intervistato il Marketing Director Unilever e Sustainability team leader di Unilever Italia Ugo De Giovanni.

Se le fabbriche dell’Unilever non inviano rifiuti a discarica, dove vanno a finire?

Dipende dal tipo di rifiuto. Alcuni vengono utilizzati in altre parti del processo produttivo; altri vengono utilizzati in altre lavorazioni (ad esempio scarti di produzioni che vengono rilavorati e vengono trasformati in cibo per animali); in altri casi vengono inviate a termovalorizzazione. (altro…)


Intervista a Ugo De Giovanni, Marketing director Unilever e Sustainability team leader Unilever Italia(12171)

sabato, aprile 5th, 2014 (12171)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di III D scuola media Frascati via D’Azeglio

Ci occupiamo del “filone” trasporti. Secondo lei quale delle iniziative di Unilever descritte nel piano di sostenibilità è la più efficace ad oggi per la riduzione delle emissioni inquinanti?

In generale se parliamo dei soli trasporti senza dubbio l’ottimizzazione della rete logistica, la riduzione del trasporto su gomma e l’utilizzo di veicoli ibridi sono le aree che possono avere un peso maggiore nella riduzione dell’impatto ambientale. Ciò detto il trasporto è la fase del ciclo di vita che ha l’impatto più basso in termini di CO2. Le aree maggiormente rilevanti sono l’approvvigionamento sostenibile e l’educazione ad un corretto utilizzo dei prodotti.

Le scelte di sostenibilità di Unilever possono mandare un perdita la società ?

In realtà una politica fortemente orientata alla sostenibilità può solo generare dei vantaggi economici rilevanti. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: una persona normale, attenta alle proprie disponibilità, nello scegliere una macchina cerca di prendere quella che consuma di meno per risparmiare sul carburante. Facendo così compra anche una macchina che, a parità di altri fattori, inquina di meno. Non è diverso per l’azienda. Ottimizzare la rete logistica richiede ad esempio investimenti nel breve termini ma, a regime, consente di ridurre le percorrenze delle merci. Questo si tramuta in una forte riduzione dell’impatto ambientale ma anche in minori spese di carburante, in un minor consumo dei mezzi di trasporto e quindi in minor costi. Lo spostamento del trasporto da gomma a rotaia è altrettanto emblematico. Come avete letto nei materiali distribuiti con il progetto greenexpress non solo abbiamo ridotto in modo massiccio le emissioni di CO2 ma abbiamo anche ridotto il costo di trasporto del 6%. In generale la sostenibilità è una fonte incessabile di inspirazioni per cercare forme di ottimizzazioni, di minor spreco e di minor impatto ambientale. (altro…)


Unilever, in Italia zero rifiuti in discarica: come fanno?(12167)

sabato, aprile 5th, 2014 (12167)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Camilla Ruberti, Giada Molino, Sharon D’Andrea e Leonardo Pietrantoni

Unilever nasce nel 1930 dalla fusione di due società, una inglese e l’altra olandese, e ad oggi possiede molti dei marchi più diffusi nel campo dell’alimentazione, per l’igiene e per la casa. Ai nostri giorni è presente in 90 paesi con 200 filiali e si presenta come il gruppo più importante nel settore dei beni di largo consumo. Alcuni dei marchi che possiede sono: Lipton (bevande), Findus (surgelati), Algida (dolciumi), Slim Fast (alimenti dietetici), Calvé (condimenti), Svelto (detersivi), Calvin Klein (profumi), Knorr (cibi pronti), Axe (igiene personale), Athea (chimica), Milkana (prodotti a base di latte).

La loro missione è di “soddisfare esigenze quotidiane di nutrizione, igiene e cura della persona, con brands che aiutano i consumatori a sentirsi bene, ad aver un bell’aspetto e una vita più piacevole”. Dal 2010 hanno ridotto l’impatto dei loro rifiuti per utilizzo per singolo consumatore di circa il 7%. Il loro impegno è di dimezzare i rifiuti associati allo smaltimento dei loro prodotti entro il 2020. Per il loro impegno con i rifiuti hanno tre obbiettivi: ridurre gli imballaggi, incrementare il riciclaggio e i tassi di recupero, aumentare il contenuto riciclato. (altro…)


Quando un tè può salvare il pianeta: la “Rainforest Alliance Certified”(12164)

sabato, aprile 5th, 2014 (12164)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Luca Crosti23 anni, Roma

Alberi centenari, animali e migliaia di altre forme di vita. Ogni pezzo si incastra in quel puzzle perfetto che è il polmone verde del nostro pianeta. Un polmone sottoposto a uno sfruttamento indiscriminato che rischia lasciarci senza più aria, la deforestazione. Causata da meri interessi commerciali, questa pratica è un male che ci affligge da anni e nei confronti del quale è ora di correre ai ripari. Proprio in questa direzione va l’impegno assunto da importanti aziende e multinazionali, tra cui spicca il nome di Unilever.

L’azienda, leader nel settore dei beni di largo consumo, dopo gli anni dei boicottaggi promossi da colossi dell’ambientalismo mondiale. negli ultimi tempi si sta fortemente impegnando ad attuare politiche che possano salvaguardare l’ecosistema in cui operano. Come previsto dall’Unilever Sustainable Living Plan (presentato nel 2010) alla fine del 2012, il 36% delle materie prime agricole è stato acquisito da fonti sostenibili.

Nel caso del tè Lipton la sostenibilità è “Rainforest Alliance Certified”, ossia certificata dalla “Rainforest Alliance”,organizzazione non governativa (ONG) che lavora con lo scopo di conservare la biodiversità e garantire condizioni di vita sostenibili. Ottenuta da Unilever nel 2012, certifica che i prodotti utilizzati provengono da piantagioni che non danneggiano l’ecosistema.  (altro…)


“Svelto” sgrassa di più con il green packaging(12162)

sabato, aprile 5th, 2014 (12162)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Pietro Ielpo, 24 anni, Roma

 

L’impegno ecosostenibile

In un mondo di trasporti, in cui tutto è movimentato da imballaggi, uno degli obiettivi del XXI secolo è quello di ridurre l’impatto ambientale causato dagli scarti e dal packaging. Il problema principale è lo smaltimento di questi imballaggi che hanno un forte impatto ambientale.

Durante un workshop “Può una multinazionale essere Green?” di gNe (vedi box) si sono analizzati alcuni degli obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale delle multinazionali. La capacità di crescita e di sviluppo di un’azienda è sempre di più influenzata dalla capacità di adeguarsi alle richieste di una maggiore eco-sostenibilità e rispetto per l’ambiente.

Un caso interessante riguarda Unilever, immensa multinazionale anglo-olandese proprietaria dei marchi più diffusi nel campo dell’alimentazione, bevande, prodotti per l’igiene e per la casa. Nel 2011 lancia l’USLP (Unilever Sustainable Living Plan) con una visione di tre grandi obiettivi da conseguire entro il 2020:  migliorare la salute e il benessere, ridurre l’impatto ambientale, acquisire il 100% delle materie prime agricole in modo sostenibile. E, non da trascurare, raddoppiare il volume di affari. (altro…)


Come si misura la greenicità nel mondo(12155)

sabato, aprile 5th, 2014 (12155)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

a cura della II media A IC Don Milani, Monte Porzio Catone

Ogni prodotto GREEN, possiede un certificato che lo autentifica come tale.

I certificati green esistono per ogni sorta di prodotto (dal tostapane agli edifici). Per ogni tipologia di prodotti esistono diversi tipi di certificazioni, che a volte cambiano addirittura da stato a stato. Qualcuna prende in considerazione il prodotto stesso, altre i vari processi che gli sono dietro.

Per fare qualche esempio, in Italia c’è la certificazione IMQ-ECO  che è una “certificazione delle asserzioni ambientali di prodotto”, cioè verifica le dichiarazioni dei produttori che definiscono “green” i loro prodotti, aiutando così a distinguere ciò che è green dal greenwashing. Per quanto riguarda gli edifici green due certificazioni molto note sono LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) per gli USA e BREEAM che vuol dire BRE Environmental Assessment Method, cioè “metodologia di valutazione ambientale del BRE, elaborata in Gran Bretagna ma oggi diffusa in tutto il mondo.

Le certificazioni sono dei certificati che comunicano al consumatore  che quel prodotto è in qualche modo ecologico cioè non danneggia l’ambiente. Servono per limitare i danni, ridurre insomma l’impatto dei prodotti e delle produzioni. Non sono perfette ma comunque necessarie, ancor di più se si parla di quelle europee.Per esempio l’ Ecolabel assicura che alcuni parametri ecologici siano rispettati da tutti i paesi europei. (altro…)


Etichette per l’ambiente(12151)

sabato, aprile 5th, 2014 (12151)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Camillla Ruberti, Claudio Giubilei, Sara Cannavò e Valeria SerafiniIII media Ist. Compr. via D’Azeglio, Frascati

Anche le certificazioni si stanno evolvendo e hanno raggiunto un livello in cui sono diventate di buona qualità. Oltre alle normali certificazioni (ISO 9001, ISO 14001 e OHSAS 18001) ne sono nate alcune che rendono le imprese più green (EMAS, ECOLABEL), Le certificazioni servono alle aziende perché indicano cosa fare quando si vuole, volontariamente, dare un percorso ambientale nel loro ciclo di produzione o in tutto il ciclo di vita dei loro prodotti. Sono un riconoscimento ufficiale di alcuni passaggi in direzione della sostenibilità. Ci sono certificazioni diverse perché ciascuna ha un metodo e un obiettivo. Alcune analizzano ad esempio la fase di produzione (come EMAS), altre il prodotto o il servizio (come Ecolabel) ecc.
Molte imprese italiane hanno aderito al programma del ministero dell’ambiente per le certificazioni di prodotti sostenibili.
Da questo si può dedurre che sta crescendo il numero di imprese interessate alle certificazioni di qualità ambientali con l’obiettivo di ottenere miglioramenti ambientali, economici ed organizzativi. Negli ultimi tempi, anche il consumatore viene coinvolto nel sistema di sostenibilità. Infatti si parla di “produzione e consumo sostenibili” (SCP). Altri strumenti per l’analisi della greenicità sono LCA e il GPP.

Certificazioni green in pillole(12145)

sabato, aprile 5th, 2014 (12145)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Dalia Di Giambattista, II media A Don Milani, Monte Porzio Catone

Cosa sono le certificazioni green? Servono davvero? Ci sono certificazioni green preferibili ad altre? I prodotti con certificazioni green sono facilmente individuabili dai consumatori?
Le certificazioni sono dei certificati che comunicano al consumatore  che  quel prodotto è ecologico cioè non danneggia l’ambiente. Servono per limitare i danni, ridurre insomma l’impatto dei prodotti e delle produzioni. Secondo Sergio Ferraris, giornalista scientifico e ambientale, non sono perfette ma comunque necessarie, ancor di più se si parla di quelle europee. Per esempio l’ Ecolabel assicura che i parametri ecologici siano rispettati da tutti i paesi europei.
Ci sono alcune certificazioni green preferibili ad altre?
Non esistono certificazioni green migliori ma ci sono enti diversi con certificazioni di prodotti diversi
I prodotti con certificazioni green sono facilmente riconoscibili?
Di solito si, però è fondamentale leggere le etichette dei prodotti acquistati. Per esempio oggi nelle etichette del prodotto è obbligatorio specificare se è presente l’olio di palma, mentre prima veniva generalmente definito come olio vegetale. Un altro esempio è quello degli elettrodomestici, per cui sarebbe meglio inserire nelle etichette la traduzione in termini ecologico-finanziale, da cui si può dedurre quanto si può risparmiare.
cod. conc. 0505153021

Workshop di giornalismo per tutti per imparare come funziona il green(12135)

sabato, aprile 5th, 2014 (12135)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Filippo Maria Mazara, 27 anni, Roma

Nel febbraio scorso, si è svolta a Milano la seconda edizione del WiGreen, un Forum sulla Sostenibilità ambientale, promosso dalla Srpim Italia (azienda di consulenza strategica nel campo della Salute dell’Uomo e dell’Ambiente. Il leit motiv dell’evento è stata la salvaguardia dell’ambiente e lo spreco alimentare, ambientale ed economico. Ad aggiudicarsi il premio quest’anno è stata la Curtiriso, che ha introdotto un sistema ed un processo moderno di tecnologia industriale. In pratica, l’azienda, sfrutta una centrale termica a biomassa che genera e rigenera energia, riducendo a zero l’emissione di anidride carbonica. (altro…)


Essere GREEN-minded(12129)

sabato, aprile 5th, 2014 (12129)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Pietro Ielpo, 24 anni, Roma

“Green: a wishfulthinking?” così esordisce a inizio workshop Sergio Ferraris (Direttore QualEnergia) che dà il via al discorso su come misurare la “greenicità”, termine coniato per questa avventura di giornalismo ambientale e scientifico. Questo “pensiero desideroso” ha legami ben radicati in ambito di produzione, finanza e mercato, per il nostro esperto. Ci spiega che l’Italia è stata una delle prime nazioni nel riciclo degli olii usati (per necessità, a dire il vero, e povertà, che a volte risulta essere una virtù).
Dai dati Coou, il Consorzio obbligatorio degli oli usati, si scopre che nel 2011 l’Italia ha rigenerato l’ 88 per cento degli olii divenendo così il leader contro quest’altissimo impatto ambientale. Il Green ha contribuito inoltre a nuove assunzioni (green-job) nel Belpaese e con l’avvento dell’IT (Information Technology) si sono abbattute anche le obsolescenze in ambito di produzione (il ché non è detto che sia un bene), contribuendo perà così ad una maggiore greenicità dei prodotti (ad esempio gli elettrodomestici più efficienti energeticamente). Raccoglie il testimone un giurista, esperto di Diritto ambientale, Tullio Berlenghi, che ci mostra il lato Green dell’ambito giuridico in Italia. Un nuovo termine suscita l’interesse del pubblico dell’Università di Tor Vergata: “Greenwashing”. L’esperto ci spiega essere la pubblicità della presunta greenicità di un prodotto, un termine negativo a tutti gli effetti, che significa “pittata di verde”, un vestitino ad hoc messo su senza sostanza. Una “pittata” che ha valore di operazione di marketing e che ammicca ad una produzione di un bene che può essere “naturale”, “verde”, “riciclabile”, insomma apparentemente non dannoso per l’ambiente, ma tacendone i reali percorsi e dettagli di sostenibilità.
Sia Berlenghi che Diego Scipioni, il linguista che ha definito green e greenwashing, e anche Sergio Ferraris ci invitano a tener sempre d’occhio le certificazioni green dei prodotti, capendone il significato. Esistono molte associazioni, fondazioni e metodologie che si occupano del rilascio di tali “bollini”, primo dei quali quello di Life CycleAssestment (LCA) che, come ci spiega in seguito Fabio Iraldo (Professore di Management ambientale all’Istituto di Management della Scuola Superiore San’Anna di Pisa) è una metodologia che valuta un insieme di interazioni che un prodotto o un servizio ha con l’ambiente, considerando il suo intero ciclo di vita, includendo le fasi di preproduzione, produzione, distribuzione, uso, riciclaggio e dismissione finale. (altro…)