Anche il Ministero dell’Ambiente vuole misurare la greenicità(12103)

sabato, aprile 5th, 2014 (12103)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green

di Adalberto Cossetti, 25 anni, Roma

Anche il Ministero dell’Ambiente vuole misurare la greenicità delle aziende. Quand’era ministro Corrado Clini, infatti, il dicastero ha dato il via al Programma nazionale per la valutazione dell’impronta ambientale. Gli aderenti, si legge sul sito, sono ad oggi circa 200 tra aziende, comuni e università.  Tutti volontari, selezionati dal ministero stesso o autoproposti. Lo scopo è quello di trovare un modo per misurare l’impronta ambientale (carbon footprint e water footprint) dei prodotti/servizi e quindi  “di sperimentare su vasta scala e ottimizzare le differenti metodologie di misurazione delle prestazioni ambientali, tenendo conto delle caratteristiche dei diversi settori economici, al fine di poterle armonizzare e renderle replicabili”.

Non se ne leggono tutti i nomi, per un problema del software del sito stesso, ma solo una ventina. L’elenco inizia con Benetton, che ha firmato un accordo per “l’analisi e alla contabilizzazione delle emissioni di CO2 (carbon footprint) legate alle attività produttive dello stabilimento Benetton in Tunisia.  In particolare si valuterà l’impronta ambientale relativa a due prodotti della linea “bimbo” (t-shirt e polo). Nell’ambito dell’accordo si valuteranno tutte le possibili misure di riduzione e di neutralizzazione dell’impronta ambientale che prevedono l’utilizzo di tecnologie e delle best practice a basso contenuto di carbonio, al fine di ottenere prodotti carbon neutral (ad emissioni compensate)”. (altro…)


I problemi dell’acqua: il consumo “invisibile” dietro i prodotti(12095)

sabato, aprile 5th, 2014 (12095)

 

WORKSHOP – Si presto a dire green

di Matteo Isidori, 23 anni, Roma

Gli studi di WWF e Legambiente sulla misurazione della waterprint italiana e sulla qualità

L’acqua costituisce il 65% della massa del corpo umano e copre il 71% del pianeta Terra. Dovrebbe essere la risorsa “comune” (nel senso di condivisa) più preziosa eppure per molte persone è un bene quasi inaccessibile. Circa 1,4 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso regolare all’acqua potabile. Altre 2,6 miliardi di persone non usufruiscono dei servizi igienico-sanitari.
Il 22 marzo è stata la “Giornata mondiale dell’acqua”, istituita per sensibilizzare Paesi e singoli cittadini sull’importanza che ha l’acqua e sulla responsabilità che ciascuno di noi ha verso di essa.
Per l’occasione WWF e Legambiente hanno pubblicato due rapporti sul consumo e sulla qualità dell’acqua in Italia. Quello del WWF è incentrato sull’impronta idrica della produzione e del consumo dei prodotti. Da questo rapporto si scopre che l’Italia importa 62 miliardi di metri cubi all’anno di acqua “invisibile” contenuta nei cibi dall’estero. Nella produzione l’Italia utilizza 70 miliardi di metri cubi, di cui l’85% nell’agricoltura, allevamento e pascolo, mentre il restante 15% dell’impronta idrica è composto da produzione industriale (8%) e uso domestico (7%). Il singolo cittadino consuma l’89% dell’impronta idrica giornaliera in cibo, il 7% in prodotti industriali, e solamente il 4% per uso domestico. Si tratta di acqua che non vediamo, non misuriamo, alla quale non si pensa nella quotidianità, ma grava pesantemente sulla gestione delle risorse idriche. Il primo cambiamento che si può applicare alla propria vita, quindi, è una scelta più attenta ai prodotti che compriamo. Si tratta di non guardare con miopia al prodotto, ma interrogarsi su tutto il ciclo di produzione del bene che stiamo acquistando.  (altro…)

Architettura green e made in Italy(11920)

venerdì, aprile 4th, 2014 (11920)

WORKSHOP – Si fa presto a dire green
Raffaella Spizzichino, 25 anni, neolaureata in architettra a Roma, Valle Giulia

L’Italia per quanto riguarda l’architettura sostenibile non si tira indietro. Che siano case davvero piccole, immaginate come una tana da portare con sé, o grandi interventi che ospitano 65 imprese hi-tech, la parola d’ordine è greenicità. Renzo Piano, a Weil amRhein in Germania, si è voluto cimentare nella progettazione della casa minima, che nel 2013 è stata inaugurata con il nome Diogene. In soli 2,5 per 3 metri – ci spiegano dal suo studio RPBW di Genova-contiene tutto il necessario per essere utilizzata come riparo, adattabile alle esigenze e facilmente trasportabile. Si compone di tre ambienti: una stanza trasformabile per uso diurno e notturno, una piccola cucina ed un bagno. Quest’unità abitativa è energeticamente autosufficiente; pannelli solari e fotovoltaici la dotano di acqua calda ed elettricità, serbatoi raccolgono l’acqua piovana che viene filtrata e pompata all’interno per essere utilizzata in cucina e per la doccia, uno speciale tipo di sistema compost fa sì che la toilette non abbia bisogno di acqua. Mario Cucinella, invece, nel 2010 ha concluso il progetto del Polo Tecnologico di Navacchio a Pisa. Cinquemila metri quadri tra uffici e laboratori che consumano solamente 16 kg di anidride carbonica al metro quadro l’anno, circa il 55% in meno di un edificio tradizionale. Interpellato lo studio MCA di Bologna di Cucinella, scopriamo che la piazza tra i tre edifici, paralleli e poco ruotati rispetto all’asse est-ovest, è riparata da una copertura schermante, che alterna pannelli tondi fotovoltaici e frangisole che favoriscono la ventilazione naturale della corte interna, le acque piovane sono raccolte e riutilizzate. Gli spazi di lavoro sono organizzati con una struttura semplice e modulare, blocchi da 100 metri quadri aggregabili senza limite, orientati in maniera razionale per ottimizzare gli apporti termici estivi ed invernali. Tutto ciò fa sì che l’edificio sia collocato nella classe A, in quanto i fabbisogni energetici sono davvero sorprendenti per un intervento di queste dimensioni.
cod. conc. 1604101732


I musei naturalistici, il segreto di un presente e un futuro sostenibile(11505)

venerdì, marzo 14th, 2014 (11505)

Intervista con Elisabetta Falchetti  di Azzurra Giordani, 26 anni, di Frascati (Roma)

Degrado ambientale, perdita di biodiversità, cambiamento climatico, desertificazione, scarsità d’acqua e di altre risorse vitali… Il secolo attuale si è aperto all’insegna di una serie di emergenze planetarie. Eppure, gli stili di vita e i modelli di sviluppo delle società moderne rimangono ecologicamente “insostenibili”. Urgono misure urgenti tese a salvare il Pianeta dal pericolo di un imminente collasso. A offrire un’adeguata risposta alla crisi ambientale sono i nostri musei naturalistici. Come contribuiscono alla costruzione di un mondo sostenibile? Lo abbiamo chiesto alla Dottoressa Elisabetta Falchetti, zoologa presso il Museo Civico di Zoologia di Roma. 

(…) “I musei naturalistici svolgono un ruolo chiave nella ricerca per la conservazione della biodiversità e nello studio dei problemi ambientali, come la frammentazione degli habitat, spesso all’origine dei fenomeni di rarefazione o estinzione delle specie in natura. Inoltre, i musei naturalistici contribuiscono attivamente ed efficacemente alla costruzione di una nuova filosofia per un vivere sostenibile….” (…)  e le ricerche (studi su campo, sui reperti, ricerche biogeografiche ed ecologiche, analisi della concentrazione di contaminanti, analisi genetiche ecc) sono di grande supporto alla” ricerca e agli interventi di tutela e gestione ambientale”…

QUI per l’intervista in word, QUI in pdf.

 

Cod. conc. 0603115019


Il “modello astronauta” e l’utopia ecologica possibile(9614)

domenica, aprile 14th, 2013 (9614)

Da Berlino, l’articolo di Lorenzo De Donato, 22 anni, di Salerno.


Il 4-4-2 del cambiamento(9579)

martedì, aprile 2nd, 2013 (9579)

Articolo di Viola Poggetti, 22 anni, di Colle Val D’Elsa (Siena)

Nam simul ac species patefactast verna diei
et reserata viget genitabilis aura favoni,
aeriae primum volucris te, diva, tuumque
significant initum perculsae corda tua vi.

Non appena appare la vista di un giorno di primavera
e dischiusa si diffonde la brezza fondatrice di Favonio,
dapprima gli uccelli dell’aria annunciano te, o dea,
e il tuo arrivo, colpiti nel cuore dalla tua forza.

(De Rerum Natura, Libro I, Inno a Venere,Lucrezio)

Lucrezio descrive la natura come una forza, qualcosa di impossibile da placare, però quando mai un uomo si è arreso a ciò?
Ogni essere umano in ogni periodo storico ha sempre cercato di modellare, modificare o cambiare del tutto quello che ci ha dato la natura. (altro…)


L’essenziale… in barca(9543)

giovedì, marzo 28th, 2013 (9543)

Articolo e intervista di Giuseppe Carlo Cireni, 26 anni, di Milano.

Leggo sul sito lafilibusta.com quel che Valeria e Marco scrivono sulla loro vita in barca a vela. Lontani da stress e difficoltà, lontani anche dalla vita di prima. Hanno fatto il grande passo, perché a fine vacanza pesava sempre di più tornare a terra.  La libertà, però, costa un po’, in termini di “meno”, ossia di sottrazioni di ciò che a terra è sempre tanto. Sottrazioni di spazio: il mare è immenso, più grande della terra, ma quello vivibile in una barca è ridotto. In 11 metri e mezzo di barca hanno tutto ciò di cui hanno bisogno, abiti, pentole, cibo, libri e altro. Ma hanno dovuto rinunciare a tantissime cose: “una liberazione e non un sacrificio. Abbiamo scelto ciò che era essenziale, il resto era dunque superfluo”.  La regola vale anche adesso: “quando si imbarca un nuovo oggetto, il vecchio viene sbarcato, così si evita l’accumulo e soprattutto si tende ad usare le cose fino in fondo”. Niente elettrodomestici, ovviamente: in barca non c’è il 220V. Il riscaldamento deve essere fatto con sistemi specifici, niente stufette. Acqua dolce? La riserva nei serbatoio non è tantissima, quindi si è costretti a stare molto attenti. D’estate, ad esempio, meglio lavarsi con acqua di mare e saponi marini ecologici e poi limitarsi a sciacquarsi con poca acqua dolce. E via così. La barca, insomma, è una palestra ideale per sperimentare la “riduzione”.

Ma com’è vivere in mare, esser circondati solo dall’acqua? Risponde Diego Sorrentino, capitano di Lungo Corso, una vita passata in tutti i mari. (altro…)


Transition si può(9541)

giovedì, marzo 28th, 2013 (9541)

Articolo di Filomena Picchi, 23 anni, di Civitanova Marche

Orti urbani, permacoltura, mercatini del baratto: si può cercare l’essenziale anche in città. Per esempio facendo un corso di transition training (ne nascono ovunque, basta una ricerca su google per trovarne). Cos’è una città di transizione (transition town, appunto)? L’idea è nata in Irlanda e in Inghilterra non più di 7 anni fa, ed è già nota in tutto il mondo. L’obiettivo è quello di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida del riscaldamento globale e del picco del petrolio. (altro…)


Case passive contro il riscaldamento globale(9539)

giovedì, marzo 28th, 2013 (9539)

Articolo di Antonio Piretti, 24 anni, Francesco Pizzi, 23 anni, e Loredana Ostieri, 22 anni, di Bergamo.

In un’epoca di grandi e crescenti timori energetici e per il riscaldamento globale, il risparmio energetico è argomento e soluzione primaria, anche se spesso non considerato come si dovrebbe. In questo contesto, la casa passiva, ossia la diffusione di uno standard passivo che possa garantire una qualità abitativa che si rifletta direttamente sull’ambiente ma anche sul comfort, è in pole position.
Con il termine “casa passiva” si intende un’abitazione che utilizza sistemi passivi per ottenere calore, freddo, luce e ricambio d’aria; per farlo controlla i flussi naturali di energia quali l’irraggiamento solare o il vento uniti ad una serie di tecniche spesso patrimonio della cultura popolare (come ad esempio dipingere di bianco le pareti per mantenere fresca l’abitazione durante i mesi caldi). (altro…)


Un esempio di essenzialità (italiano)(9530)

giovedì, marzo 28th, 2013 (9530)

Articolo e fotoreportage di Martina Cavallaro, 21 anni, di Tradate (in italiano) e di Paola Danitza Hernandez Rojas, 22 anni, di Callao (Perù) (in spagnolo).

Mucche pazze. Polli alla diossina. Miele blu in Alsazia. Bambini che, portati per la prima volta in una fattoria, non riescono a credere che le cotolette che mangiano alla mensa della scuola abbiano una faccia e si muovano. Qualcosa non va. Siamo abituati, quando vogliamo qualcosa, ad andare al supermercato o in macelleria: la filiera alimentare si è talmente tanto allungata e complicata che abbiamo perso ogni rapporto con quello che mangiamo. Anche quando leggiamo sulle etichette che i prodotti sono frutto di agricoltura biologica o di allevamento “a terra” non ne siamo veramente sicuri: il caso delle lasagne all’emiliana con carne di cavallo è stato un esempio lampante. Non sono cambiate solo le cose che abbiamo nel piatto ma siamo cambiati anche noi, le nostre abitudini, i nostri desideri, il nostro modo di rapportarci con gli altri e con il mondo. E’ diventato ormai impensabile vivere in maniera diversa.


Proponiamo qui una testimonianza che arriva dall’altra parte del mondo: dalla cordigliera delle Ande per l’esattezza. Le foto mostrano il piccolissimo villaggio di Villa Union , nella provincia di Ongoy sulle Ande centro-meridionali (vedi foto 1 e2). Come in alcuni paesini d’Europa fino a pochi decenni fa, qui l’economia si basa quasi esclusivamente sull’agricoltura e la pastorizia. Si coltiva soprattutto mais di diverse varietà (foto 9 e 10) con cui si fanno bevande e dolci come la chicha de jora e l’humita ; e vari tipi di tuberi (foto 5-8). (altro…)