Basta produrre green per essere green? (12058)

WORKSHOP – Si presto a dire green

di Francesca Zanobbi, 15 anni, Grottaferrata

È questo il tema che è stato affrontato nel secondo workshop organizzato da Giornalisti Nell’Erba per aiutarci a focalizzare ed interpretare al meglio il concetto di “greenicità”. Più volte durante la giornata è stata sottolineata l’importanza che le imprese adottino comportamenti finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e condividano le innovazioni sostenibili provenienti da ogni campo della scienza.
A volte però accade, come abbiamo capito, che le aziende si ingegnino sì, a produrre in modo green, tralasciando conseguenze che potrebbero investire l’ambito sociale. Per conoscere proprio quest’altro aspetto che in parte risponde alla nostra domanda principale (Basta produrre green per essere green?) abbiamo intervistato Daniela Riganelli, consulente di Novamont, agenzia chimica italiana che si occupa del settore delle bioplastiche. Per l’appunto, le ho chiesto se a volte l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti e il cambiamento di alcune abitudini della società è dovuto anche ad un’evoluzione ecologica. Partendo dall’esempio dei bio-shopper, i sacchetti biodegradabili, di cui la dottoressa si è occupata, le ho chiesto se è vero che che la loro produzione è tra le cause dell aumento del prezzo dei cereali, poiché implicano l’uso del mais. Riganelli non ha dubbi: mentre riporta una sintesi delle principali analisi di mercato relative al picco dei prezzi dei prodotti agricoli di base del 2007, spiega che gli aumenti sono riconducibili a ben altri fattori. Le cause principali, dice Riganelli, sono state l’aumento dei prezzi del petrolio con il conseguente aumento dei costi della produzione di cereali, dei fertilizzanti, quindi dei costi di stoccaggio, trasporto e distribuzione della produzione agricola; la domanda crescente in India e Cina; il cambiamento del regime alimentare nei paesi emergenti (maggior consumo di carne), l’nteresse speculativo dei mercati; gli scarsi raccolti in alcuni Paesi, come l’Australia. Per quanto riguarda invece le tensioni economiche e sociali globali legate all’utilizzo dei campi per coltivare materie prime rinnovabili usate dall’industria che potrebbero essere sfruttati per la produzione di generi alimentari e mangimi, la consulente di Novamont non pensa che queste “preoccupazioni” siano fondate: secondo i dati, la coltivazione di mais per le bio-shopper, per esempio, richiede solo lo 0,06% del terreno agricolo europeo totale.


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